C’eravamo lasciati con quell’aura di vaghezza che avvolge di impenetrabilità il mistero del riposo di Parthenope: come per la sua nascita così per la sua presunta morte, la sirena regina assunta a dea ha consegnato ai posteri, inconsapevolmente, una pluralità di letture sull’ubicazione della culla per la sua veglia sulla Napoli partenopea. Ripercorriamo il contributo, dedicato anche a ciò, del ricercato umanista napoletano Giovanni Pontano, che ha legato il suo nome alla raffinata e incisiva imponenza della omonima cappella nel complesso monumentale della Pietrasanta le cui porte continueranno ad aprirsi per momenti di cultura tra la gente.
La ‘Lepidina’, primo componimento delle Eglogae del Pontano, tra rimembranze classiche e tradizioni popolari, è dedicato al matrimonio di Parthenope e Sebeto, personificazioni della città di Napoli e del fiume Sebeto… Interlocutori principali sono Macrone e Lepidina, una coppia di sposi ispirata al poeta stesso e alla moglie che recano doni alla coppia divina e che allegoricamente rappresentano le feste di corte del tempo dell ‘autore. E Giovanni Pontano ha scritto del presunto luogo che custodisce l ‘eternità della vergine greca. Prima ancora naturalmente Strabone, geografo greco vissuto tra il I sec a. C. e il I sec d. C. cita la mitica tomba come celata nell’area della spiaggia napoletana. Anche nella poesia di Stazio e nelle scritture di Licofrone, erudito greco di epoca Alessandrina, troviamo il riferimento alla spiaggia nei pressi del porto come luogo che accoglie le particolari spoglie. Pontano, dicevamo, colloca la tomba di Parthenope sul colle di Monterone, presso la chiesa di San Giovanni Maggiore, colle che resta custodito nelle stratificazioni viarie, negli edifici, nelle mura millenarie di monasteri e palazzi nobiliari. In effetti, il centro storico di Napoli è posto a circa 50 m sul livello del mare proprio perché si trova su un piccolissimo altopiano. Ma anche Jacopo Sannazaro, Carlo Celano nel XVII o Bartolomeo Capasso nel XIX sec. ne hanno discusso ampiamente: di certo la lapide conservata nella chiesa di San Giovanni costituisce un reperto storico tangibile su cui non a caso gli studiosi molto si sono confrontati. Ma il Sebeto della Lepidina ci ricorda sia di un’altra leggenda greca, secondo cui il fiume era il figlio della sirena Parthenope sia di Vesevo figlio del dio Vulcano: i due giganti si contendevano l’amore di Leucopetra a conferma del rapporto viscerale e imprescindibile tra gli elementi della natura che ne esprimono la forza e il flusso vitale, ossia acqua e fuoco.
Il fascino dei processi culturali, e quindi storico – sociali, a Napoli è accresciuto infatti dal labirinto di versioni leggendarie che si intrecciano a suggello del tessuto di una civiltà che è frutto prezioso e ineguagliabile perché realizzato con i fili dell’arte, della poesia, della musica, della letteratura, dell’architettura, della scultura e con quelli della creatività del suo popolo che ha preservato la memoria di un percorso di consacrazione storica grazie al processo di identificazione con scelte e fatti che ha sempre messo in atto. In tal senso, la Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella conserva nella preziosità dei suoi luoghi una cantata di Alessandro Scarlatti, ‘Nel mar che bagna al bel Sebeto il piede‘ , di argomento arcaico che canta quelle gare di vele, che ci riportano col pensiero alle nostre Olimpiadi, presso la foce del fiume dando voce ad un tempo ad altra gara, quella d’amore, tra i due pastori Elpino e Nice. Per precisione di memorie di partiture musicali, citiamo anche l’altra cantata di Scarlatti ‘Nel mar che bagna a Mergellina il piede‘ di analoga contestualizzazione. Riscopriamo ogni volta la ricchezza del sostrato culturale di Napoli che ritorna come se fosse inedita e rinnovata ad un tempo, bellezza viva perché presa in carico da quanti credono ogni volta di poter fare ancora meglio accogliendo tanto potenzialità quanto fragilità in un sistema di rete che vede interagire chi si prende cura e chi viene preso in carico: questi valori sono stati sottolineati dall’Arcivescovo Metropolita di Napoli Monsignor Mimmo Battaglia e dal Rettore della Pietrasanta Monsignor Vincenzo De Gregorio nella cerimonia di inaugurazione del 9 giugno per il completamento del pavimento maiolicato della Basilica della Pietrasanta e dell’ascensore che consente a tutti di contemplare la civiltà sommersa. La commozione tangibile suscitata dalle due autorità ecclesiastiche e l’atmosfera di autentico umanesimo hanno toccato le corde più intime dei presenti sublimando la bellezza artistica per andare Oltre…
La ‘Lepidina’, primo componimento delle Eglogae del Pontano, tra rimembranze classiche e tradizioni popolari, è dedicato al matrimonio di Parthenope e Sebeto, personificazioni della città di Napoli e del fiume Sebeto… Interlocutori principali sono Macrone e Lepidina, una coppia di sposi ispirata al poeta stesso e alla moglie che recano doni alla coppia divina e che allegoricamente rappresentano le feste di corte del tempo dell ‘autore. E Giovanni Pontano ha scritto del presunto luogo che custodisce l ‘eternità della vergine greca. Prima ancora naturalmente Strabone, geografo greco vissuto tra il I sec a. C. e il I sec d. C. cita la mitica tomba come celata nell’area della spiaggia napoletana. Anche nella poesia di Stazio e nelle scritture di Licofrone, erudito greco di epoca Alessandrina, troviamo il riferimento alla spiaggia nei pressi del porto come luogo che accoglie le particolari spoglie. Pontano, dicevamo, colloca la tomba di Parthenope sul colle di Monterone, presso la chiesa di San Giovanni Maggiore, colle che resta custodito nelle stratificazioni viarie, negli edifici, nelle mura millenarie di monasteri e palazzi nobiliari. In effetti, il centro storico di Napoli è posto a circa 50 m sul livello del mare proprio perché si trova su un piccolissimo altopiano. Ma anche Jacopo Sannazaro, Carlo Celano nel XVII o Bartolomeo Capasso nel XIX sec. ne hanno discusso ampiamente: di certo la lapide conservata nella chiesa di San Giovanni costituisce un reperto storico tangibile su cui non a caso gli studiosi molto si sono confrontati. Ma il Sebeto della Lepidina ci ricorda sia di un’altra leggenda greca, secondo cui il fiume era il figlio della sirena Parthenope sia di Vesevo figlio del dio Vulcano: i due giganti si contendevano l’amore di Leucopetra a conferma del rapporto viscerale e imprescindibile tra gli elementi della natura che ne esprimono la forza e il flusso vitale, ossia acqua e fuoco.
Il fascino dei processi culturali, e quindi storico – sociali, a Napoli è accresciuto infatti dal labirinto di versioni leggendarie che si intrecciano a suggello del tessuto di una civiltà che è frutto prezioso e ineguagliabile perché realizzato con i fili dell’arte, della poesia, della musica, della letteratura, dell’architettura, della scultura e con quelli della creatività del suo popolo che ha preservato la memoria di un percorso di consacrazione storica grazie al processo di identificazione con scelte e fatti che ha sempre messo in atto. In tal senso, la Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella conserva nella preziosità dei suoi luoghi una cantata di Alessandro Scarlatti, ‘Nel mar che bagna al bel Sebeto il piede‘ , di argomento arcaico che canta quelle gare di vele, che ci riportano col pensiero alle nostre Olimpiadi, presso la foce del fiume dando voce ad un tempo ad altra gara, quella d’amore, tra i due pastori Elpino e Nice. Per precisione di memorie di partiture musicali, citiamo anche l’altra cantata di Scarlatti ‘Nel mar che bagna a Mergellina il piede‘ di analoga contestualizzazione. Riscopriamo ogni volta la ricchezza del sostrato culturale di Napoli che ritorna come se fosse inedita e rinnovata ad un tempo, bellezza viva perché presa in carico da quanti credono ogni volta di poter fare ancora meglio accogliendo tanto potenzialità quanto fragilità in un sistema di rete che vede interagire chi si prende cura e chi viene preso in carico: questi valori sono stati sottolineati dall’Arcivescovo Metropolita di Napoli Monsignor Mimmo Battaglia e dal Rettore della Pietrasanta Monsignor Vincenzo De Gregorio nella cerimonia di inaugurazione del 9 giugno per il completamento del pavimento maiolicato della Basilica della Pietrasanta e dell’ascensore che consente a tutti di contemplare la civiltà sommersa. La commozione tangibile suscitata dalle due autorità ecclesiastiche e l’atmosfera di autentico umanesimo hanno toccato le corde più intime dei presenti sublimando la bellezza artistica per andare Oltre…
Intanto, tornando alle amate lettere, il Sebeto entrava anche nella poesia di Virgilio attraverso il VII libro dell’Eneide, proprio nell’ambito di una rassegna dei miti dell’Italia. E non ci sfugge che grazie allo scultore Cosimo Fanzago furono realizzate, tra le altre, la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta e anche la fontana monumentale dedicata proprio al Sebeto al termine di via Caracciolo. Anche ai tempi di Fanzago il connubio tra leggende e misticismi confluenti nel sincretismo che ha consentito la preservazione di ogni frammento entrato a far parte della complessità ha trovato espressione nelle sculture dello stesso artista intriso della cultura del suo tempo! È il caso di ricordare come il cancello in ottone della cappella del tesoro di San Gennaro nel Duomo di Napoli sia considerato uno dei capolavori di Fanzago in quanto in grado di emettere suoni percuotendo i ricami e le colonnine come se fossero le canne di uno xilofono per ricordare che la cappella era stata costruita anche per la musica, altra dimensione propria della nostra comunità educante. E la veglia di tutela su musicisti e poeti che la vergine matrona incorona è eternamente in atto dall ‘alto della triade di Parthenope posta sul teatro San Carlo. Nel 1835 l’ incisore Federico Mori così descriveva il gruppo della Parthenope: ‘in figura di maestosa matrona è rappresentata la città di Napoli, elevata su un magnifico seggio, ornato delle immagini delle Sirene, ad accogliere… I due geni…‘ della tragedia e della commedia!