Napoli e San Gennaro: un arrevuòto teologico

Napoli e San Gennaro
Napoli e San Gennaro
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Napoli e San Gennaro hanno un rapporto molto particolare. La città ha voluto fortemente il vescovo puteolano come Patrono, come testimonia la ‘guerra’ delle reliquie durata quasi mille anni.

Napoli e San Gennaro si sono ‘tirati per la maglietta’ più o meno da quando la testa mozzata del santo ruzzolò lungo le pietre della Solfatara, dopo l’esecuzione capitale, e la nutrice Eusebia ne raccolse il sangue zampillante. Successivamente le reliquie del santo furono vittime di un vero ping pong, tra l’Agro Marciano (primo luogo di sepoltura), Napoli, Benevento, Montevergine e infine, di nuovo, la nostra Napoli. Ma di queste ‘disavventure’ si potrà parlare un’altra volta.

Napoli e San Gennaro: partimmo malamente, fratu mio…

La storia di Napoli e San Gennaro fu subito rocambolesca. Vescovi napoletani e Principi longobardi si ‘litigarono’ – se ci è concessa l’espressione –  i resti mortali del martire Gennaro, condannato a morte per aver voluto, come un buon amico, visitare il diacono di Miseno, Sossio , condannato a morte per la sua fede. Forse quest’atto di amicizia carnale fece innamorare i napoletani, e cristallizzò tale amore per sempre.

Però questa passione non è che incominciasse proprio col piede giusto. Gennaro (Gennà, come lo chiama un personaggio di Troisi in uno sketch della Smorfia), prima di approdare da noi, se n’era andato troppo girando di qua e di là. E l’Agro, e va bene… Ma poi (dopo Napoli) Benevento, Montevergine… : ma se po’ ssapé addò vuò stà ‘e casa?

Ci fu bisogno delle maniere forti dell’Arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, nel 1497, perché tutte le reliquie del ‘decollato di Pozzuoli’ ritornassero a Napoli, per essere poste definitivamente nella stupenda cripta al di sotto dell’altare maggiore del Duomo. Ecco, dunque: San Gennaro era tornato. Il santo ‘carnale’ era finalmente in Parthenope. E guai, guai neri, a chi l’avesse voluto portar via, da allora in poi. Però… quest’amicizia, seppur eterna, sarebbe stata complessa e contradditoria.

Jesce fore, Gennà!

La figura di San Gennaro, a Napoli, la si trova ovunque. Ma veramente ovunque. Il mural dello street artist Jorit Agoch, che campeggia enorme sulla parete di un palazzo di Forcella, è soltanto uno degli ultimissimi capitoli di una storia secolare. I napoletani San Gennaro lo vogliono tenere annanz’ a ll’uocchie. Come le migliaia di Madonne negli altarini in mezzo alla strada.

Ed ecco che Gennaro, inconfondibile a causa del suo copricapo vescovile, esce comm’ a nu sorece dal Vesuvio, in migliaia e migliaia di dipinti o manufatti di qualsiasi foggia, i quali fanno capolino nei negozi di souvenir. I Vesuvii con i San Gennaro serpeggianti dal cratere come fil di fumo stanno sulle bancarelle, nelle bottegucce stipate di roba sotto i portici di via Tribunali, o nei negozi  chic del Corso Vittorio Emanuele o di via Duomo.

E se hê fatt’ammore cu ‘o Vesuvio…

Se qualcosa vien fuori dal Vesuvio allora questo qualcosa è parte del fuoco vivo di Napoli. E Napoli ne è gelosa ogni giorno di più, e lo sarebbe fino ad impazzire. Dal Vesuvio gli artisti fanno schizzare cornetti rossi portafortuna, Pulcinella stilizzati e magrolini – per passare attraverso il pertuso del vulcano –, numeri su circoletti di legno pronti per i panari della tombola, ecc. Anche Totò, spesso con un mento che pare la prua di una barca, esce dal Vesuvio con il suo sguardo acuto e interrogativo.

Dunque se San Gennaro ha conosciuto il fuoco dormiente del Vesuvio, per poi uscirne, vuol dire che la sua carta d’identità è napoletana per sempre. Altrimenti guai. Altrimenti viulenza e arraggia. E non stiamo scherzando, né minimamente esagerando. Arraggia, sì. E violenza.

Quando la si butta in politica…

Nel maggio del 1799 l’aria era frizzantina. Era primavera da un pezzo. Il 24 gennaio precedente era stata proclamata la Repubblica Napoletana. Una repubblica, come sappiamo, sorta da ideali liberali ma invisa a tanta parte del popolo, il quale non aveva gli strumenti culturali per diventare ‘parte integrante’ degli eventi, insomma protagonista della propria storia. E San Gennaro, in quei giorni di maggio, compì un errore fatale. Quello di lasciar che il proprio sangue si liquefacesse davanti al popolo, come se niente fosse successo. Come se la gente, invece, non si aspettasse tutt’altro dal Patrono carnale…

Il popolo si attendeva una soprannaturale ‘resistenza’ ai giacobini da parte del proprio santo. Nella piazza la gente – che non poteva comprendere la Rivoluzione – aspettava un ‘no’ da quelle ampolle contenenti il sangue raggrumato del padre e fratello Gennaro. Il popolino, col fiato sospeso – e forse pronto alla battaglia fisica, nel caso le cose fossero andate come si credeva– attendeva uno sprezzante diniego da parte del Patrono nei confronti della borghesia rivoluzionaria.

‘O Santo nun se po’ mettere cu cchisti ccà…”. “Te facc’ ‘a vvede’… : ce ‘o fa rummanè ncanna, ô miracolo, Gennaro…”. “Se n’hann’ ‘a fuì mo mmò, si pure ‘o Pateterno nun ‘e bbò”. E invece…

E invece il sangue si sciolse. Il generale francese Championnet, con ingenuità ma magari anche immaginando di agire con scaltrezza, fece esporre al pubblico le ampolle col sangue reso liquido dal prodigio. Come a dire: “San Gennaro è con noi! È con noi perché questa rivoluzione è per voi!”. Ma il popolo, in quel frangente storico, da quest’orecchio non ci sentiva, né avrebbe potuto sentirci. E allora apriti cielo! San Gennaro era a tutti gli effetti, ormai, un traditore del popolo.

O più sopra di Cristo… o pigliato a maleparole

Immaginiamo solo vagamente le maleparole  che dovette ‘sorbirsi’ il santo di Pozzuoli. Addirittura, come racconta Alexandre Dumas, a Napoli fu inscenata una vera e propria esecuzione capitale del Santo. Un busto del ‘patrono traditore’ fu trascinato miseramente lungo le strade polverose della città da alcuni ‘lazzari’, in mezzo alle bestemmie e allo scherno spietato del popolo, e alla fine fu buttato a mare.

È una scena terribile, se ci pensiamo. Buttare a mare è il ‘segno’ di un mai più. Gettato qualcosa a mare, si rimane un attimo col capo rivolto verso l’acqua, là dove bolle e cerchi concentrici si formano in corrispondenza del tonfo dell’oggetto-spazzatura, e poi si girano le spalle e si va via. Più leggeri, senza quel carico. Con la testa già oltre, nel ‘dopo’. Buttare a mare vuol dire che è tutto finito.

Eppure San Gennaro, a Napoli, era stato un amore onnicomprensivo, caratterizzato da una passionalità quasi ‘erotica’. Gennaro era stato il nuovo Virgilio Mago (ora che l’epoca della classicità era lontana – anche se il poeta delle Bucoliche non se ne era mai davvero andato via da Parthenope). Gennaro era stato lo spirito della Sirena, e il potere del canto ammaliante era diventato forse, in qualche modo, la potenza della preghiera cristiana del martire.

Ma non solo… : San Gennaro era stato talmente identificato con la città da superare ‘teologicamente’ la figura di Cristo stesso, origine stessa e ‘unico motivo’ fondante del cristianesimo. Questo, almeno nel catechismo. Nei trattati. Per i Padri della Chiesa. Per i Santi e i Dottori. Ma non per i napoletani.

Due dipinti seicenteschi  ‘confessano’ la fede di Napoli

A pensarci, è strano. Perché abbiamo appurato che ne ha ‘combinate’ tante, a Napoli, questo santo che sotto sotto s’è fatto nu poco ‘e fatti suoje. Dopo aver girato per tutta la Campania, dall’Agro Marciano a Montevergine, ed essersi fatto venerare quanto bastava un po’ dovunque, ecco che arriva a Napoli, con essa fa pure un patto di sangue, e poi un giorno se sceta giacobbino e nun vò sapè cchiù niente

Però se osserviamo alcune rappresentazioni di pittori napoletani del ‘600, ci rendiamo conto di qualcosa di strabiliante. Siamo un secolo e mezzo prima del 1799 e dell’inscenata uccisione del santo. Ma questo non ha poi tanta importanza: San Gennaro, oggi, nel 2022, è per Napoli quello di sempre. Come se il tradimento e la vendetta non si fossero mai consumati.

La questione è che nei dipinti a cui facciamo riferimento San Gennaro, a livello di bontà e compassione, appare un gradino al di sopra di Cristo. Il Paradiso stesso pare ricevere luce dagli occhi e dagli abiti del Santo Patrono più di quanta non ne acquisti dagli sguardi e dai mantelli che ricoprono le fattezze dell’Eterno Padre e del Figlio Gesù.

Onofrio Palumbo, l’allievo e amico di Artemisia Gentileschi

Cominciamo con un’opera del 1651, realizzata da Onofrio Palumbo, che si era formato pittoricamente con Artemisia Gentileschi. Nel dipinto, dal titolo San Gennaro intercede in favore di Napoli, il focus del quadro è nei cieli, mentre Napoli è lontanissima, in basso, quasi invisibile. Cosa esprime Palumbo, nell’immagine? La pietà di Gennaro e la spietatezza del Cristo. Gesù, avvolto in un manto scuro, ha già alzato potentemente il braccio destro, la cui mano stringe una saetta infuocata. L’obiettivo di questa arraggia è certamente Napoli, laggiù in basso.

La città si è macchiata di qualche peccato imperdonabile? Può darsi. In ogni caso, Giesucristo nun vo’ sapé niente. Vuole solo colpire. Persino il Padre sembra allarmato dalla veemenza del Figlio, e pare fissarlo come in attesa di vedere fin dove si spinge. L’unico volto pietoso, tenero nel suo spavento mortale, è quello di Gennaro. Una nuvola al di sotto della Trinità, con il proprio splendido manto vescovile di frange dorate, e con la propria mitria color cocozza matura, il santo porta avanti entrambe le braccia, in un gesto quasi disperato.

Lui sì che vuole salvare Napoli, viene da dire. Isso sì ca ce vo’ bbene. La scena è veramente drammatica, ad osservarla. Gennaro guarda fisso Gesù. Ma è Gesù a non degnare di uno sguardo Gennaro. Soltanto, la sua mano sinistra indica Napoli, come a dire: “Non è da me che lo devi andare trovando, Genna’, ma dai tuoi concittadini. Vaglielo a chiedere a loro, vai, chello ca s’hanno fidate ‘e fà”. In ogni caso, il Gennaro di Palumbo è un Patrono legato alla propria Napoli fino a metterci la faccia. Fino a piglià quistione cu Giesù Cristo. Come si può buttare a mare un Patrono così? Ma non siamo noi a dover giudicare la storia.

Luca Giordano e la peste del 1656

Nello splendido Museo Diocesano di Napoli, che invitiamo tuti a visitare (insieme alla struttura che lo ospita, Santa Maria Donnaregina Nuova), troviamo un altro dipinto barocco che ha per protagonisti Gennaro e Gesù. Nun ce sta nient’ ‘a fà: tra loro è stata ‘na guerra. Con Napoli come ‘posta in gioco’.

Il quadro è bellissimo. L’ambientazione è assolutamente diversa, diremmo ‘opposta’, rispetto all’opera di Palumbo. Qui a giocare in casa è San Gennaro. Gesù, stavolta, pur sulla sua classica nuvola, è sceso fino a vedere da vicino la miseria e la rovina terribile di Napoli, devastata dalla peste del 1656, una delle epidemie più terribili della storia. Eppure anche qui…

Eppure anche qui San Gennaro pare ca sta parlanno c’ ‘o muro. Il Patrono, sempre adagiato su una nuvola più in basso, e vestito di un abito di un azzurro chiarissimo e splendente, alza gli occhi a fissare Cristo, e con la mano destra, sempre con mitezza (ma con pathos e partecipazione) indica Napoli. Gesù stavolta non è ‘accompagnato’ dalle altre due Persone della Trinità, bensì da sua madre Maria. E in questo caso Cristo è raffigurato con la croce sulle spalle, come durante la Passione. Ma anche qui… non guarda Napoli. Semmai si volge verso la Madre la quale probabilmente sta intercedendo per il martire Gennaro.

Napoli come la Zattera della Medusa

Il dipinto di Luca Giordano è davvero crudo, forte, a tratti sublime. Alcuni tra i napoletani, accasciati per le strade nelle pose più pietose e tragiche a causa della peste, ricordano in modo impressionante i personaggi del famoso quadro di Géricault, raffigurante i naufraghi del disastro dell’imbarcazione francese Medusa avvenuto nel 1816.

Centosessant’anni prima, il nostro Luca Giordano raffigurava corpi umani, privati di energia dalla morte imminente, come avrebbe poi fatto il grande pittore francese. Ma a noi interessa il fatto che Luca Giordano, avendo negli occhi una tragedia di proporzioni immani –la peste – e raffigurandola con tanto realismo, abbia trasposto la pietas più sul volto implorante di San Gennaro che non su quello, più distratto, di Cristo.

Giesucristo a mmasto, San Gennaro a ffrate

Insomma, qua a Napoli si è consumato e si consuma un arrevuòto teologico. Gennaro protegge con sguardo potente la città, che è invece fissata con sufficienza da Colui che, in realtà, dovrebbe rappresentare il cuore di ogni autentica fede cristiana. Ma qua pare che quando è Napoli ad essere in ballo, Giesucristo arronza, San Gennaro acconcia.

Eppure… basta poco perché si faccia di San Gennaro ancora e sempre un ‘bersaglio’ per la rabbia. Ne sanno qualcosa le parenti di San Gennaro, che gli parlano col ‘tu’ e, quando è necessario, ‘o danno nfaccia senza troppi complimenti. Qua a Napoli non sappiamo fingere. Ogge cumpagne, dimani… chi ‘o ssape. Ma davvero vale anche per San Gennaro? Crediamo di no. Screzi. Solo screzi, sono. Appicicate ‘e nu mumento. Perché Napoli è San Gennaro.

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