Napoli Novantanove, trent’anni di sguardi sulla città, meraviglia, miracoli e malesseri

E se oggi, i giovani, spesso incolpevoli, si sentono a trent’anni ancora quali foglie al vento, il compleanno della Fondazione Napoli Novantanove, dà, invece, a tutti la sensazione di un cammino lungo, riuscito, ove i rivoli scorrono, ancora e sempre, verso diversi risultati e diversi contesti. Anima della Fondazione, Mirella Barracco che , con il marito Maurizio – di origine calabrese, ove, 2005, hanno creato il Museo dell’Emigrazione, unico in Italia -, è riuscita a sperimentare a Napoli, un “modello, riuscito, di politica culturale in cui la collettività è stata protagonista attiva e partecipe, modello che, con ‘La Scuola adotta un monumento’, è stato esportato dal nord al sud del Paese. La nostra azione culturale – continua Barracco – ha scelto di fare riferimento alla comunità, intesa come ‘agente attivo’ di un processo di conoscenza e partecipazione sociale”.

museo

Riconosciuto Ente morale dal Presidente della Repubblica, 1985, prioritaria la scelta del “principale strumento di azione”, il patrimonio artistico che oltre ad avere funzione storico-educativa, spande la sua lungimiranza verso una corretta promozione turistica che, al di là della conoscenza di un sito o di una città, percorre la civiltà, rendendo il Paese cosciente della propria identità e dei propri bisogni reali. Che partono e si traducono in un colossale fenomeno economico, culturale e sociale mentre è strumento di formazione e di crescita.

Dopo trent’anni, Napoli non è certo la città annichilita del dopo terremoto. Che scelse fiducia e speranza. Oggi la città, come il Paese intero, è cambiata ed il “nostro sguardo al futuro, attraverso la scuola ed i giovani  non potrà non tenerne conto”. Tra le novità il Concorso nazionale sul tema, “Spazio pubblico e democrazia: gloria, degrado e riscatto delle piazze d’Italia”, voluto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con la Fondazione Napoli Novantanove. Rivolto alle  Scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado, l’intento del Concorso è quello di porre l’attenzione sullo spazio pubblico e sui luoghi aperti, che siano opera di grandi architetti o scultori o chi si tratti di luoghi dalla bellezza più semplice o addirittura anonimi, per far avvicinare le istituzioni scolastiche alla storia delle piazze italiane quali centri dove permettere ai cittadini d’incontrarsi e scoprirsi. Preiscrizione entro l’8 Novembre prossimo.

Dunque, base di tutto è la scuola, sin dalle prime classi e sin dai primi ‘investimenti morali-culturali’ della Fondazione. Sottolineato da tutti, nel recente incontro, più scambio produttivo di riflessioni che ‘sterili’ celebrazioni, suffragato dall’invio da parte del Presidente Napolitano di una targa ricordo e da un sentito messaggio del Presidente emerito, Carlo Azeglio Ciampi, alla ”diletta città di Napoli”. Parterre di lignaggio, pubblico e relatori.

Ciampi

Tra cui, Louis Godard, per trent’anni docente alla Federico II e da tempo consulente culturale del Capo dello Stato. Lo scienziato, che ha individuato, 1984, a Monastiraki – Creta -, su sorta di sigilli in argilla,  le prime forme di scrittura cuneiforme utilizzate per descrivere  i sistemi amministrativi della Storia, ha privilegiato la scommessa della Fondazione sui ragazzi che scoprono la Storia da protagonisti perché, “cultura è indissolubilmente legata a memoria”.

Lungo questo filo conduttore, l’intervento del Ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, annunciando che Napoli dà la stura al nuovo Progetto, “Opere d’arte nelle scuole”. Come lo ha dato, in tutt’Italia, la Fondazione, che ha indirizzato i giovani a sentire proprie, a proteggere, le opere dell’ingegno. Porteremo, dice Franceschini, “come prima opera d’arte in una scuola napoletana, la ‘Madonna di Costantinopoli’ di Mattia Preti. Progetto inserito nel protocollo d’intesa firmato a Maggio con il Ministro dell’Università. Sorta di preludio all’impegno del Governo di reintrodurre in modo più capillare il ritorno della Storia dell’Arte nelle scuole”.

È, poi, la volta degli storici e dei politologi.

Giuseppe Galasso si chiede subito “quale sia il segreto tra lo sviluppo e i Beni culturali”. Ma, smarriti, ascoltiamo, un “Non lo so. La relazione sembra evidente ma non è così; infatti essi sono un bene economico particolare. Come ampia fonte di occupazione? Va riflettuto bene. A monte la qualificazione culturale e l’abilità manuale e, come rapporti ineludibili, gli investimenti – senza di essi non c’è successo – e la formazione. Ora, poi, incombe una nuova domanda: con la Riforma delle Sovrintendenze e con il problema di nuovi profili- quali quelli privilegiati? – di manager – ricercatori, che ne sarà, in esse, del personale specializzato assunto trent’anni fa? I Beni culturali vivono in un contesto sociale e noi conosciamo l’insufficienza delle infrastrutture. Poi, ricordiamo la diversità di “trattamento”  verso i vincoli: il paesaggio spesso vive di anarchia, mentre per il bene culturale cresce l’insofferenza verso qualsiasi richiesta di tutela . In una totale ‘divisione’ tra le Istituzioni ed i cittadini. Infatti il pregio maggiore di Napoli Novantanove è la convergenza tra scuola e comunità”.

Sul “divorzio crescente tra istituzioni e società civile”, insiste anche Salvatore Settis, ma ricorda che l’articolo 9 della Costituzione indica la tutela del patrimonio della nazione. E, dunque che i beni culturali non vanno pensati per i turisti ma per i cittadini, turisti anch’essi, ma speciali che se li valorizzano potranno renderli vivi per chiunque. “Serve – aggiunge – l’antidoto n°1, il radicamento  nei siti, che diventi, come in Napoli Novantanove, energia positiva”.

Galli della Loggia si chiede, con una domanda retorica, “quale rapporto hanno i cittadini con i beni culturali e con la memoria? In ogni grande città italiana il degrado è assoluto. Di chi la colpa? Dei politici o dei cittadini? Di entrambi. Basta pensare che, al posto dello studio del passato, ora si pensa ad introdurre anche le lezioni in inglese! Manca la conservazione, elemento primo per rispettare la tradizione. Una democrazia ‘senza’ la Nazione, cosa del tutto opposta in Francia”.

logo fondazione

Dunque, anche in questo intervento ed in altri interessanti, tra cui, Polito, Zamparelli Nonno, Montanari, Anastopoulos, il sottolineare la valenza dell’opera della Fondazione Napoli Novantanove – a cominciare dalla denominazione che rimanda alla Rivoluzione del 1799 – che, pronuba Napoli, è stata seguita, poi, in tutt’Italia.

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on email
Share on telegram

La nostra rivista
La nostra
rivista
L’Espresso Napoletano diffonde quella Napoli ricca di storia, cultura, misteri, gioia e tradizione che rendono la città speciale e unico al mondo!

SCELTI PER TE