Napoli Ritratta – È tempo di partire

La relatività del tempo è la materia di cui sono fatti gli aeroporti. Lo sanno bene Anna e Sofia, due signore napoletane con la passione per la briscola.

Gli aeroporti sono i luoghi del tempo. Tutto ciò che avviene al loro interno ha a che fare con la dimensione temporale. Immersi nel tempo sono i muscoli dei passeggeri in attesa che rincorrono placidamente le lancette apparentemente immobili. Immersi nel tempo sono gli occhi dei più, rivolti al tabellone delle partenze, che sembrano fiammelle in cerca di un soffio divino che spegnerà la loro sete. In aeroporto è tutta questione di tempo. È sempre questione di tempo. Ma il tempo sa cambiare. È un fluido magmatico. Avvolge le cose e le persone. Le scioglie col suo calore. Basta guardare i volti degli anziani o le strutture ossidate per capire la sua natura. Il tempo è una forza ignea che arde costantemente.

Negli aeroporti questa forza si esprime nelle sue più pure contraddizioni. Tanto si arresta quanto scappa. Il ritardatario invocherà la benevolenza degli astri affinché il tempo non scorra troppo veloce. Il puntuale spererà al contrario che il motore dell’universo salga di giri e acceleri la corsa della realtà.
L’aeroporto di Napoli non sfugge alla definizione di luogo del tempo. Più precisamente è insieme un luogo del tempo sfuggente che non può essere arrestato e un luogo del tempo placido che pare essersi bloccato. Il boom di turismo ha accentuato questo carattere ambivalente. In ogni quadro visivo che appare ruotando la testa è presente sempre qualcuno che corre e si fa spazio in mezzo a passeggeri in stasi totale. Ghiri e gazzelle. Tutti nello stesso habitat, che è la dimensione del tempo.

Non appena varco la soglia di ingresso dell’aeroporto ecco che arriva in una scena la sintesi di quanto ho detto finora. A un palmo dal mio naso due signore esordiscono dicendo:

“Facimmo sempe accussì. Ce intalliammo e po’ amma fá ‘e corse”.

In queste parole la verità assoluta. La relatività temporale nella sua più perfida emanazione. E allora immagino un possibile scenario avvenuto prima che arrivassi. Mi pare di vedere le due signore sedute sulle loro valigie fuori misura. Sono lì ferme ad assistere al galoppo stanco delle ore che le separano dal volo.

Le vedo farsi compagnia per non addormentarsi. Immagino che la prima, la più piccola di statura si chiami Anna. La seconda, più giovane all’apparenza mi ricorda il nome Sofia. Ora che conosco i loro nomi la scena mi pare più vivida. Le vedo tirar fuori da una tasca interna, come fa il mago con la colomba, un mazzo di carte napoletane. Le guardo che inizino a giocare, prima per combattere la noia, un po’ impacciate, ma poi mi accorgo che sono vinte dall’agone. Ora le vedo lì concentrate, a calcolare ogni mossa, a bilanciare ogni scelta. Più che una partita di briscola ora sembra la finale dei mondiali di scacchi. Anna si rosicchia le unghie per il nervosismo.

Sofia prova a ostentare sicurezza nei propri mezzi rimanendo impassibile. Le lenti scure, da giocatore di poker, nascondono le occhiatacce che dà alle sue carte quando non si ritrova in mano il seme di briscola. E intanto il tempo passa. E si fa a poco a poco più rapido il suo trotto. A ogni mano la distrazione aumenta e il tempo se ne approfitta. Ora corre a tutto spiano. Anna e Sofia sono nel loro mondo. Le valigie su cui siedono sono ormai delle comode sedute sulle quali consumare una battaglia aspra.

Ogni carta appare capace di sconvolgere il risultato. Il punteggio è in parità quando dall’alto una voce metallica allerta:

“Attenzione, ultima chiamata per il volo RN20807 diretto a Lugano. Dirigersi immediatamente al gate A3”.

Io entro all’aeroporto e vedo Anna e Sofia trafelate che spingono di fretta le loro pesanti valigie. Anna ripete:

“Facimme sempe accussì. Facimme sempe accussì!”

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