Napoli ritratta: Nascondino

Nascondino è un gioco per tutti. Giocano a nascondersi i bambini sui gradoni di Chiaia, i ricordi sfuggenti e addirittura il sole per spiare l’uscita della luna.

Siamo a Napoli e sono le 18.30. Il calore in cui sono immersi cittadini e turisti farebbe pensare all’inizio di una serata di luglio, eppure il sole sta già tramontando. Presto svelato l’arcano: fa molto caldo ma è già ottobre. Sarà l’aria d’estate che resiste ancora ai primi vagiti dell’autunno, ma il termine ‘imbrunire’ non si adatta a quello che vedo. Sembra almeno per ora un tramonto senza crepuscolo. Il sole sta calando, del resto come potrebbe non farlo, ma nel cielo resta intatta la sua scia e la potenza luminosa del suo corpo. Il mantello che ci sovrasta si è fatto di un colore alieno. Ha una tinta fredda e accesa, un blu elettrico, quasi fosforescente. Contrasta perfettamente con la luce calda delle lampadine sospese sui gradoni di Chiaia. Pare che il sole, più che congedarsi per andare a illuminare l’altra faccia della terra, voglia restare qui, nascosto come meglio può, ad assistere allo spettacolo serale della luna.

E in effetti, la luna spunta puntuale e ora vedo il suo spicchio illuminato e so che anche il sole la vede, mentre sta lì che gioca a nascondino. Forse spinto da queste suggestioni poco serie, decido di testimoniare questo momento che a me pare straordinario. Prendo il telefono, lo alzo davanti ai miei occhi e cerco di creare un ritratto simmetrico. Mentre sto per scattare mi ricordo che questa esatta inquadratura, dico questa dei gradoni di Chiaia ripresi dal basso, con la striscia di cielo che si insinua in essi e che si irradia a partire da un punto di fuga all’orizzonte è una cartolina che mia nonna ha in casa da sempre. La scoperta mi riempie di adrenalina. Provo la stessa sensazione che mi pervadeva da bambino quando riuscivo a intravedere la scarpa di un mio amichetto nascosto dietro a un albero della villa. In quel caso ritornavo alla ‘tana’ e gridavo a pieni polmoni il suo nome. Mi piaceva giocare a nascondino. Adesso che ci penso ciò che adoravo di quel gioco non era tanto il nascondersi – azione comunque dal fascino innegabile – quanto il senso di riappacificazione che provavo nel ritrovare chi si impegnava a sfuggirmi. E ancora oggi, quanto più qualcosa si impegna nel nascondersi, come sta facendo adesso il sole, o come ha fatto per tutto questo tempo il ricordo della cartolina di mia nonna, tanto più la riappacificazione del ritrovamento è profonda e duratura.

Se mi guardassi dall’esterno probabilmente mi troverei buffo. Sono qui sul primo dei gradoni, fermo, e non sto scattando ancora quella foto che mi ero promesso di fare velocemente per catturare il ‘nascondino’ del sole. Cosa sto aspettando? Devo immortalare questa combinazione! Fare ‘tana’ al sole – fino a prova contraria ciò che ci permette di vivere –  e insieme ritrovare la memoria di una cartolina persa nell’oblio non è cosa da tutti i giorni. Forse è proprio l’emozione per questa doppia vittoria che cerco il momento giusto. Mi sento come un fotografo naturalista che attende l’istante in cui il rapace scende in picchiata desideroso di catturare tutta la sua forza predatoria. Certo, il mio soggetto non è così sfuggente ma è anche vero che, a differenza del naturalista, non ho alcuna competenza per scattare una bella foto. «Va bene» mi dico. Prendo coraggio. Prendo di nuovo la mira, come un arciere punto al centro del bersaglio, premo sullo schermo e clic!

Il mio telefono non fa questo rumore quando scatta una foto, ma quando si spegne. Cogliendo appieno il senso del dramma il dispositivo che mi serviva per immortalare la duplice scoperta si è sottratto al suo ruolo. Rimango esterrefatto, dubbioso sulla possibilità di aver scattato o meno la foto. Più i minuti passano, più sento salire la delusione. Temo di non avercela fatta. Mi guardo intorno. Ora il sole è sparito, non è più nascosto a guardare la luna disvelarsi. L’imbrunire ora è un termine corretto. Il crepuscolo è giunto in tutta la sua drammaticità. Le luci dei baretti sono ora l’unica illuminazione davvero affidabile. Mentre torno a casa mi sento svuotato di quell’energia elettrizzante che mi aveva riempito. Quasi rido per essermi fatto scappare un’occasione così ghiotta, e anche così semplice da cogliere.

Giunto a casa, con ansia ricarico il cellulare. Apro la galleria e non c’è nulla. Poi sorpresa! Si carica una nuova foto. Ora la vedo minuscola tra le altre mille del rullino, eppure sono già contento. Riconosco infatti il colore fosforescente del cielo, il sole che si nasconde, le luci dei baretti, la simmetria della cartolina. Ci clicco su per ingrandirla e ancora sorpresa! Mentre scattavo due bambine sfreccianti sono entrate nell’inquadratura e hanno riempito la parte bassa della foto con la scia della loro corsa. Le sto per maledire per avermi sfregiato il capolavoro quando capisco e mi emoziono.

Ma certo! Corrono alla tana! Ecco che cosa aspettavo. Ora sì che c’è tutto.

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