Nell’infinito universo…

UFO
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Il filosofo greco Metrodoro di Chio più di 2000 anni fa scrisse: E’ innaturale in un campo avere solo una spiga di grano, e nell’infinito universo solo un mondo vivente”. Il filosofo, scrittore e frate domenicano Giordano Bruno, circa quattro secoli fa – il 17 febbraio del 1600 – venne bruciato sul rogo in piazza Campo de’ Fiori dall’inquisizione della Chiesa romana perché credeva nell’esistenza di altri pianeti abitati nel cosmo. Ebbene, sono secoli e secoli che ci chiediamo: “siamo soli nell’Universo?”

Le lettura comparata di miti e leggende provenienti da diverse aree del pianeta, da diversi popoli, ci mostra incredibili coincidenze che non sempre si possono spiegare alla luce della razionalità e dell’antropologia culturale. Le storie di dèi, delle loro battaglie, di angeli, demoni, esseri che volano nei cieli su “carri di fuoco” scolpiti e ritrovati su numerosi reperti archeologici – che la mitologia indo-ariana chiama vimana – scagliando saette e dardi, sono comuni a tutte le culture della terra, e spesso con particolari incredibilmente simili. Esseri extraterrestri hanno solcato nel corso dei secoli i cieli del nostro pianeta? Il loro passaggio potrebbe essere stato così immortalato da numerosi artisti nelle proprie opere?

Tracce di oggetti volanti strani e misteriosi sono disseminate anche nell’arte. Proprio a Napoli, custodito nella Galleria Nazionale del Museo di Capodimonte (Sala V – Galleria Farnese), c’è uno dei quadri più famosi al mondo in ambito ufologico: il dipinto di Masolino da Panicale (1383-1440), il cui vero nome era Tommaso di Cristoforo Fini, denominato “Il miracolo della neve” (1429). In esso è immortalata la rappresentazione di uno strano evento che vide coinvolto papa Liborio (352-366). La storia narra che il papa in sogno ebbe dagli Angeli l’ordine di edificare a Roma una nuova Chiesa, nel punto esatto dove si sarebbe manifestata una nevicata miracolosa. Il giorno dopo, sotto i caldi raggi del sole di agosto, una sostanza simile a neve cadde realmente dal cielo, come riportato dalle cronache di allora. Lì fu costruita la basilica di S. Maria Maggiore. Nel dipinto di Masolino è raffigurato il Pontefice intento a indicare il perimetro di quella che sarà la futura basilica, nel punto imbiancato dalla sostanza misteriosa che cade da strane nuvole simili a oggetti volanti non identificati. “Il miracolo della neve” rappresenterebbe secondo la tradizione cattolica un “segno del cielo”? O potrebbe essere un fenomeno associato agli Ufo? Sono numerosi infatti i casi di avvistamenti ufologici seguiti da una strana sostanza simile a bambagia denominata “angel’s hair”, tra cui quello di Siena nel 1954. Questo, purtroppo, per ora non ci è dato sapere, però è anche vero che dal nostro passato sono emerse cose, tracce, segni, che fanno vacillare i ragionamenti più logici.

Quello di Masolino da Panicale non è l’unico quadro che raffigura strani oggetti nei cieli. In un’altra pittura del XV secolo, “La Madonna e San Giovannino”, attribuita alla scuola di Filippo Lippi – il dipinto è però stato oggetto di diverse attribuzioni – compare in alto, alla destra della vergine Maria, un oggetto ovoidale apparentemente in movimento, con tanto di raggi luminosi, osservato finanche da un pastore dipinto con la mano destra sulla fronte, quasi a voler veder meglio il fenomeno, e dal suo cane intento ad abbaiare. Trattandosi di una scena di Natività potrebbe essere la stella cometa di Betlemme… o altro?

Vi è anche un dipinto di Carlo Crivelli (1430-1495), chiamato “L’Annunciazione” e datato 1486, custodito nella National Gallery di Londra, in cui un oggetto discoidale emette un raggio luminoso sulla corona posta sul capo della Madre del Cristo. Alle porte dell’Albania, in Jugoslavia, nella provincia di Metohija, tra le località di Pec e Diakovica, nel trecentesco monastero di Visoki Decani, sull’altare, vi è un affresco della prima metà del XIV secolo raffigurante la crocifissione di Gesù sul Golgota. Ai due angoli superiori si notano due oggetti simili a due capsule spaziali pilotate da uomini.

La Clipeologia – termine adoperato prettamente in Italia, proposto, pare, per la prima volta nel 1959 dallo studioso Umberto Corazzi – studia eventuali manifestazioni di UFO nel passato. L’etimologia della parola deriva da “clipeus”, lo scudo rotondo che adoperavano i guerrieri romani: antichi scrittori latini, come Plinio il Vecchio, descrissero come “clipei ardenti” (cioè scudi infuocati) strane apparizioni nei cieli di allora. Sono disseminati nel mondo non solo dipinti ma anche reperti che ancora oggi l’archeologia ufficiale non ha potuto o saputo spiegare. Come il misterioso reticolato dell’altopiano di Nazca in Perù, presso la Cordigliera di Huanzo, a 350 km da Lima, con i suoi solchi geometrici e i suoi disegni visibili solo dall’alto, sorvolando la vasta area con un aereo. Oppure l’astronauta di Palenque, uno strano disegno rinvenuto nel 1952 su una lastra tombale nell’interno di una piramide a gradini in Messico (il Tempio delle Leggi o delle iscrizioni) che riproduce un uomo ai comandi di un veicolo a reazione; l’enigmatica piattaforma fatta di ciclopici macigni squadrati dal peso di duemila tonnellate con un gigantesco monolito abbandonato nelle cave di Baalbek, lungo 21 metri con sezione quadra di oltre 4 metri a lato. Per non parlare di Stonehenge, delle Piramidi e delle undicimila pietre levigate scoperte in Perù con su incisa la lotta degli uomini preistorici con i dinosauri (eppure la paleontologia, la storia e la scienza ufficiale ci dicono che l’uomo non visse contemporaneamente ai Sauropodi). I Dogu sono antiche statue, risalenti a 5000 anni, fa della civiltà giapponese Jomòn. Alcune di esse rappresentano strani esseri in scafandri, tute spaziali e caschi con tanto di cerniere e segni per l’avvitamento sulla tuta. Esaminando queste statue, la NASA così si espresse anni orsono: “i nostri osservatori ritengono che l’ipotesi concernente la tura raffigurata sia molto interessante”.

Tra tutti i misteri che la storia ci mostra ce n’è uno che da decenni provoca notti insonni ai più grandi studiosi del mondo: quello del papiro Tulli, un vero giallo clipeologico del tempo dei Faraoni. Questo papiro fu trovato nel 1934 in un negozio di un antiquario dal prof. Alberto Tulli, che allora era Direttore del Pontificio Museo Egizio Vaticano. Tulli non poté acquistarlo per via del prezzo esorbitante richiesto, però ottenne di poter copiare il testo, che fu successivamente trascritto da ieratico in geroglifico grazie anche all’aiuto dell’Abate E. Drioton, allora Direttore del Museo del Cairo. Una volta tradotto, si accorsero che il testo del papiro riportava la storia di una vicenda prodigiosa, una serie di misteriosi avvistamenti di oggetti nel cielo, che vide tra i testimoni anche il Faraone Thuthmosis III (1504-1450 a.C. circa). La prima volta che apparve nel nostro paese il contenuto del papiro tradotto in lingua italiana fu nel 1964, sulle pagine del primo numero della rivista “Clypeus”, fondata e diretta da Gianni Settimo. “… Il ventiduesimo giorno del terzo mese d’inverno, alla sesta ora del giorno, gli Scribi, gli Archivisti e gli Annalisti della Casa della Vita si accorsero che un cerchio di fuoco… dalla bocca emetteva un soffio pestifero, ma non aveva testa. Il suo corpo misurava una pertica per una pertica (quindi circolare e di circa cinquanta metri) ed era silenzioso… Dopo che fu trascorso qualche giorno, ecco che queste cose divennero sempre più numerose nei cieli d’Egitto. Il loro splendore superava quello del sole ed essi andavano e venivano liberamente per i quattro angoli del cielo. Alta e sovrastante nel cielo era la stazione da cui andavano e venivano questi cerchi di fuoco. Pesci ed uccelli caddero allora dal cielo ed il faraone fece portare dell’incenso per rimettersi in pace con la Terra… e quanto accadde il faraone diede ordine di scriverlo e di conservarlo negli Annali della casa della Vita, affinché fosse ricordato per sempre dai posteri…” Questi strani avvistamenti riportati dal papiro Tulli sono simili a quello narrato da Ezechiele nel Vecchio Testamento, scritto 900 anni dopo (circa nel 590 a.C.).

Nel 329 a.C. il grande condottiero e conquistatore Alessandro Magno, mentre attraversava col suo esercito il fiume Jaxartes dirigendosi verso l’India, assistette a quella che definirono “un’incursione di grandi scudi d’argento scintillante”. Aristotele li chiamò “dischi celesti”, riferendosi ai dischi lanciati dagli atleti. Nella Cronaca di Norimberga, edita nel 1493 da H. Scheadel, si narra di un oggetto fiammeggiante che avrebbe sorvolato la città al tempo di Enrico IV di Alemagna (1056-1106).

Lo scultore e scrittore Benvenuto Cellini (1500-1571), il più grande orafo del Rinascimento, racconta nella sua autobiografia (“Vita”, libro I, cap. 89) dettata dal 1558 al 1565, di uno strano fenomeno che lo vide coinvolto con un suo compagno di viaggio. I due stavano andando a cavallo a Firenze. Si fermarono su una collina per poter ammirare la città, quando d’un tratto videro una grande “trave luminosa” librarsi sul cielo di Firenze. “… Montati a cavallo, venivamo sollecitamente alla volta di Roma. Arrivati che noi fummo in un certo poco di rialto, era già di fatto notte, guardando in verso Firenze tutti a due d’accordo movemmo gran voce di meraviglia dicendo: ‘Oh Dio del Cielo, che gran cosa è quella che si vede sopra Firenze?’. Questo si era com’un gran trave di fuoco, il quale scintillava e rendeva grandissimo splendore…”. Una trave di fuoco simile fu avvistata anche durante il regno di Enrico IV, nel 1466, come è documentato e illustrato nel “Notabilia Temporum” di Angelo de Tummulillis.

Insomma, tutti eventi “misteriosi”, ancora oggi inspiegabili, come quello raffigurato da Masolino da Panicale nel suo “Il miracolo della neve”, o semplici manifestazioni naturali che agli occhi degli uomini di quei tempi apparivano soprannaturali?

 

 

 

 

 

 

 

 

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