Nun te ne fa’, tra tradizione e blues d’oltreoceano, Gnut confeziona nuove canzoni per l’anima
Ascoltare di prima mattina Nun te ne fa’, il quarto lavoro discografico di Claudio Domestico Gnut su etichetta Beating drum (Piers Faccini), mentre si percorrono a piedi le strade intorno alla stazione di Napoli animate da clacson, trans di ritorno dalla notte, lavavetri al semaforo sempre rosso, mamme in affanno fuori la scuola, anziani in fila fuori la posta, predispone ad affrontare la giornata senza dare troppo peso ai problemi e, soprattutto, a fare attenzione alla poesia che ti viene incontro attraverso gli occhi e le parole delle persone comuni, quelle a cui il cantautore partenopeo ha sempre dato spazio.
Ancora una volta la possente delicatezza delle sonorità imbastite da Gnut, ci trasporta in un mondo dove si vedono i vicoli di Napoli e le strade infinitamente lunghe e variopinte dell’America di dentro. Dieci brani che a colpi di mandolino, chitarra acustica, armonica, e altri strumenti di diverse tradizioni geografiche, oscillano tra la dolce melanconia del bues, il folk inglese di Drake, e la musica popolare nostrana, con un cameo di Fausta Vetere della NCCP, rinforzati da testi scritti a quattro mani con Alessio Sollo in cui ritornano temi e sentimenti cari a Gnut: l’amore, l’emarginazione, la solitudine, la violenza.
Sentimenti che in Nun te ne fa’, quasi come per alchimia shakesperiana, si mostrano in tutta la loro paradossale contraddizione e, per questo, ci avvicinano all’umanità; basti pensare al brano che dà il titolo all’album o a Chella Notte o ancora a I’ e Colpa mia (guest star Fausta Vetere) passando per E Pparole.
L’album
Un lavoro discografico lungo, quello di Gnut, che ha impiegato quattordici anni per vedere la luce. Quaranta tracce in partenza che, con il contributo del songwriter Pier Faccini, anche produttore e musicista nel disco, sono diventate un unicum compatto ed equilibrato, impreziosito dalla leggiadria della voce di Ilaria Graziano (anche apprezzabile pittrice) che si spande come un manto vellutato su quasi tutti i brani.
Ad accompagnare il sogno di Gnut (‘so’ tant’anne ca faccio sempe ‘e diébbete cu’ ‘e suonne’, ci canta), una pattuglia di musicisti di razza: Michele Signore (mandolino, viola,violino), Simone Prattico (batteria) Piers Faccini (chitarra acustica 12 corde, chitarra elettrica, dulcimer, cori) Luca Caligiuri (basso) Fausta Vetere (voce) Luca Rossi (tammorra), che con la propria identità musicale ha dato un contributo inedito a queste dieci canzoni leggere e pesanti come nuvole, capaci di aprire squarci di luce e allo stesso tempo di velare il cielo di ombre. Canzoni che silenziosamente si insinuano nelle vene e ci insegnano ad amare il dolore e a trasformarlo in miele.
Allora il consiglio è quello di piazzarsi delle cuffie nelle orecchie e attraversare le zone più popolari della città: incrocerete i volti e le storie in carne e ossa delle poesie sonore di Gnut e le vedrete con occhi nuovi. Soprattutto non potrete fare a meno di sorridergli.
Link al brano:
Foto di Gnut – Alessandra Finelli