Non siamo in viale dei Ciliegi e nemmeno nella Londra degli anni 30.
Non siamo ai tempi delle suffragette e neanche nell’abitazione di un direttore di banca nella quale i bambini vengono intrattenuti piacevolmente da una governante speciale di nome Mary Poppins, capace di estrarre dalla borsa oggetti dalle dimensioni magiche, mettere in riga soldatini e – con il solo sguardo – ordinare la cameretta!
Siamo a Napoli, in via San Biagio dei Librai, Spaccanapoli. C’è un signore di nome Luigi Grossi, bananina dal ciuffo e baffo all’insù, scenografo dei teatri di corte e di teatrini dei pupi. Siamo nel milleottocento. Un giorno, Luigi, mentre si trova nella bottega intento al proprio lavoro, vede entrare una signora con una bambola rotta tra le mani. Entrando nella bottega la signora esclamò: “Pare proprio o’ spitale re bambole!”. La donna si rivolse a lui chiedendogli di far in modo che la sua bambina smettesse di piangere – pianto sfrenato causato dalla bambola rotta – e di far in modo che la stessa bambola fosse riportata a nuova vita.

E da quel momento, più di cento anni fa, si sono avvicendate tre generazioni dedite alla cura, alla manutenzione e alla messa a punto di bambole, pupazzi e giochi vari. Tanto che persino dalla Norvegia è pervenuto a Napoli il materiale che si trovava nell’analogo ospedale del paese nordeuropeo, chiuso a causa dell’età ormai avanzata dei rispettivi proprietari.
Gambe e braccia rotte delle bambole di tutto il mondo: qui se ne rinnovano gli abiti. Pronto soccorso di cavallucci a dondolo, pastori antichi e moderni, Madonne, oggetti sacri. Scaffali pieni, che riportano a scene di film o fantasie di bambini. La mente va alla mia prima bambola, Valentina: altezza quasi naturale, capelli lunghi e bianchi, col vestitino di lana pettinata grigio, collettino bianco. Era stata acquistata a Venezia da uno zio e, tirando la cordicella che aveva dietro la nuca, con una voce meccanica esclamava: “Mi porti a nanna?”, “Mi spazzoli i capelli?”, “Il mio nome è Valentina!”. Era talmente grande da mettere paura ai bimbi troppo piccoli: così erano le bambole degli anni Sessanta.

Oggi l’ “Ospedale delle bambole”, trasferitosi al numero 38 di Via San Biagio dei Librai, presso le scuderie di Palazzo Marigliano, ha potuto godere, da qualche mese, di una nuova soddisfazione. Esso è, infatti, entrato a far parte dei ‘Centenari, eccellenze storiche familiari’, associazione presieduta da Ugo Cilento che riunisce le aziende storiche familiari e per il cui ingresso vengono adottati criteri particolarmente restrittivi.
L’impresa, sita nel centro storico, è oggi guidata da Tiziana Grassi, è attiva dal 1890 circa con una crescita costante in termini di “interventi” effettuati su bambole di ogni tipo e provenienti da ogni parte del mondo. “‘Centenari’ è un’ associazione che punta a valorizzare le eccellenze dell’impresa con uno sguardo particolare a chi ha avuto la capacità di far funzionare e innovare aziende storiche come le nostre, che ormai sono diventate anche un modello economico. Ci fa dunque molto piacere aver accolto tra di noi l’ Ospedale delle bambole”, ha commentato Ugo Cilento.

E del resto, in rete non mancano gli entusiasmi dei turisti che esprimono un così grande stupore per le iniziative ludiche, corsi e tanti altri eventi organizzati da questa famiglia di singolari “medici”: un riconoscimento meritato!
Su di una bambola esiste una storia molto antica, precedente la cultura greca classica. Si narra in Russia e in tutti i paesi baltici, la storia di “Vassilissa la saggia”, che, come tutte le antiche storie, inizia così: “C’era una volta e una volta non c’era… Paradosso che intende avvertire l’anima di chi la ascolta che essa si svolge in un mondo tra i mondi in cui nulla è come sembra sulle prime”!