Pasquale Della Monaco, cinquant’anni di sperimentazione

Intervistare, andandocene per una definizione scientifica, e non troppo, è una verbosa peculiarità di chi propriamente interroga il proprio interlocutore, il quale dovrebbe a sua volta, con un fare dovizioso e aneddotico rispondere. Porre domande spetta agli uomini curiosi. Rispondere alle stesse è prerogativa dei saggi, o per così dire, di coloro che sono esperti nella propria materia. Questa è l’enunciazione che servirà da introduzione: quella sera alle Rampe di Pizzofalcone, in uno studiolo d’occasione, non c’erano saggi, né curiosi; c’erano un giornalista ed un artista,  , che il tempo ha stimato custode di una Rupe, il Monte Echia, brandello lacero e splendente dei bei tempi della Palepoli che fu, ed eterno paladino di Villa Ebe, preziosa pietra neogotica sfregiata. Entrambi avevano la comune pretesa di conversare, amabilmente, sfregando le dita su vecchie foto ingiallite, avvertendo alle spalle impetuoso il fischio graffiante della brezza marina che, a poco a poco, sfrangiava i tessuti di un microcosmo mitico. Sì è parlato di passato, e non solo.

Pasquale-Della-Monaco-in-basso-a-destra

Pasquale, lei è un professore di disegno e storia dell’arte, pittore di contesto culturale espressionista, affascinante interprete della comedie humaine, regista e autore, a cavallo tra Pasolini e Fellini. Tutto qui, o c’è altro?

Cerco di indagare all’interno delle persone. Prediligo le immagini di emarginazione, alle quali col colore cerco di dare speranza. Ho iniziato davvero presto. La mia prima mostra è stata a quindici anni. Era il Sessantatre. Una volta terminato l’istituto d’arte, dopo l’accademia, giunsi in Tirolo, dove insegnai storia dell’arte in un liceo classico. Avevo forse ventuno anni. Decisi di ritornare a Napoli, qui alle Rampe. Correva il Millenovecentosettanta. Definii questo luogo un paesino al centro della Città. Si susseguivano concerti e semplici manifestazioni. Fondai qui il Centro incontri delle Arti, un laboratorio collettivo nel quale ospitare i grandi maestri dell’arte e della cultura contemporanea.

Ci spostiamo in un preciso spazio dello studiolo, prospiciente all’ingresso che dà sui tornanti di Pizzofalcone. È proprio da quel primo ambiente che tutto ebbe inizio, i quadri, le serate, le conversazioni, le cene. Pasquale ci mostra con piacere due volumi zeppi di foto, che raccontano un po’ la storia di quella variegata società napoletana che si è trovata e continua a transitare.

Regista e autore a cavallo tra Pasolini e Fellini. A proposito di quest’ultimo, chi sono i “pagliacci” di oggi?

Sono quelle persone non interessate alla ricerca della propria identità e della propria autenticità, poiché condizionate dalla società dei consumi. Ambiscono ad uno status borghese, votato al consumo fine a sé stesso.

pagliacci

Contestualizziamo il tutto, perché questo è un luogo per certi versi mitico e contemporaneamente misterioso della Città. Dove ci troviamo?

Personalmente, non vedevo l’ora di trasferirmi. Le mie intenzioni volgevano tutte in questo studiolo, convergendo qui una società mista. Pensavo che questo fosse un paradiso. Le Rampe, il primo insediamento della Città su la Rupe, Villa Ebe ed il suo giardino. Oggi resta comunque un paradiso ma un po’ abbandonato.

Quest’anno ricorrono i suoi Cinquant’anni di carriera. La realtà da lei descritta resta sempre così deformata?

Purtroppo le deformazioni del volto e dello spirito sono andate a peggiorare. C’è sempre ricchezza negli uomini. Bisogna scavare però per trovarla.

Il rapporto dell’artista con la Città. Il rapporto dell’uomo con la Città.

L’artista ha un rapporto facile con questa città. L’artista è profondo e percepisce la potenza del substrato umano, quello culturale e quello storico. Si può essere turisti di questa città notando tante ricchezze, che possono diventare fonte d’ispirazione. Analizzando il rapporto dell’uomo con la Città, capiamo che sussistono fondamentali esigenze. Vale la formula “uomo presentati e ti dirò chi sei”. Porgersi, mostrandosi e comprendendo l’essenza dell’altrui realtà, è bello. Interessante. Mi sono emozionato quando organizzammo un concerto con cinquanta musicisti al decimo piano dell’Hotel Royal e alcuni ragazzini appartenenti ad una realtà un po’ difficile ascoltarono e vissero Wagner in un’atmosfera sublime.

quadro dell'artista

Dunque, un bilancio il cui limite estremo si individua nella “mostra antologica” del 1983 al Castel dell’Ovo.

Con oltre quattrocento opere avevo esposto la mia personale commedia umana. Non guitti ma ritratti di persone. Se un bambino nasce in Francia impara il francese. Se nasce in una famiglia di ladri impara a rubare.

Dal Novanta attraverso spettacoli ed eventi culturali si dedica alla difesa e al recupero di Villa Ebe. Mi guardo intorno, muovendomi all’interno di tale fantastico triangolo – la Villa, il Monte Echia e le Rampe – e ancora vedo tante architetture diventate deformi. Qual è la causa di una simile incuria?

Negli anni ci sono stati numerosi appelli e nessuno si è mosso. Per il Monte nel progetto si parlava di un ascensore, che di fatti è diventato un cantiere mai completato. Per le Rampe ed il Castello, devastato da un incendio nel Duemila, il destino è stato analogo. Allo stesso modo, è stato fatto un grande lavoro per ripristinare il giardino del castelletto. È mio dovere ringraziare il sindaco De Magistris e l’assessore Piscopo, che diedero il permesso per potare il grande albero che rischiava di abbattersi sulle Rampe.

Ci spostiamo tra i differenti livelli dello studio-dimora dell’artista. Discendiamo attraverso una scaletta in ferro battuto per una stretta intercapedine. Sbuchiamo in un ampio salone, spazio d’occasione per l’esposizione di opere ed intimo stanzone con archi a tutto sesto adibito alla sperimentazione culturale.

Premio Utopia Lamont Young

 

Quindi, la grande stagione dei premi – Premio Utopia Lamont Young ed il Premio Vulcano Metropolitano –, da un lato i grandi ideali, dall’altro l’affermazione della propria identità metro-napoletana. La Città tracima di personalità eccellenti, eppure cosa c’è che non va?

Si dovrebbe fare poca teoria e molta pratica. Molto altruismo e poco egoismo. Se si sceglie la strada della costruzione bisogna essere proiettati verso gli altri. Tutto ciò, diversamente, sarebbe poco intelligente. Sul piedistallo rimarrà l’egoista, poi afflitto. Da questo scambio tutto ritorna.

Concludiamo. Pasquale, il suo messaggio si rivolge alla vita?

Certo. Mi piace essere libero. La vita è un volo libero dove ognuno può tracciare il proprio itinerario.

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