Giullare, chierico vagante, autore, studioso, mille maschere, dolce, riservato, sornione lungo il tempo con fantasia e sogno. Quella sera, lungo il porto di una splendida cittadina cilentana, il silenzio confortato dalla luna piena più magnogreca che mai, le luci delle lampare discretamente distanti, ognuno di noi tratteneva un respiro spontaneo. Ed eccola la figurina magica, eterea eppure carnale, ecco Peppe Barra che, pur ammantato di luce notturna, non vuole far torto al giorno che, presto, evocherà la sensualità del dio genitore. “Jesce sole”, invoca, graffiante e bambino, riservato e sornione. Il mio compagno, solitamente assorto nella sua malinconia, mi prende la mano e, lieve, lieve, accenna un sottofondo antico, un ricordo involontario delle serate della guerra ove l’unico modo per non pensare era stare insieme, un canto e una chitarra. Barra gli viene vicino, sembra sollecitarlo, musicante da giro, una pianola e una voce divina perché il popolo, sempre, ritrovasse attimi di smarrimento felice.
Ho ripercorso quella serata struggente, poco più di un mese fa, durante una mattinata speciale, di quelle più aduse in Atenei stranieri che nostri. Eppure, come ha ricordato il Rettore della Federico II, il Professor Massimo Marrelli, “i nostri insigniti di Honoris Causa, vanno da John Nash – Nobel e grande matematico, 2003 -, a Peppe Barra, 2014, lungo un pensiero dominante, quello che la cultura e la storia vadano ripercorse. E, infatti, nessuno, o pochi conoscono Barra come studioso della cultura teatrale: noi abbiamo voluto, da tempo, invitarlo ad insegnare, oltre ad essere membro del comitato scientifico del Corso”.
Barra nasce a Roma nel 1944 e si può dire che esordisce in fasce, figlio e nipote di una grande, variegata famiglia di teatranti, genitori procidani, sua madre “l’immensa” Concetta, duo inscindibile sino alla sua morte, 1993, suo fratello Gabriele, anch’esso attore. La cerimonia si svolge nella chiesa ‘universitaria’ dei Santi Marcellino e Festo che, con Vanvitelli, Gioffredo, Stanzione e lo splendido Chiostro, è uno dei fiori all’occhiello ristrutturati, voluto dai rettori Ciliberto, Tessitore e Trombetti, ove i Concerti e la presenza giovanile la fanno da padrone. Emozionato ma a proprio agio (una chiesa non è sempre stata un luogo di ‘spettacolo’, nel senso più lato del termine?), Barra che ha portato la cultura della tradizione locale in una dimensione internazionale, insegna al Master di cui abbiamo detto, lezioni e seminari affollati senza età definite.
Dunque, indispensabile, riconoscimento alla sua attività di ricerca, che discende per i rami della cultura popolare del Sud ma, insieme, dalla capacità e dal desiderio, dalla necessità, di creare connubi tra le altre, di stessa estrazione ma di diversa provenienza, dagli italiani di ogni secolo, uno per tutti Machiavelli, sino alla rivisitazione di Boccaccio, per giungere a Camilleri. Dove passano, trasversali, De Andrè e Dario Fo, senza dimenticare “La Commedia degli errori” di Shakespeare, luglio 2011, per l’Estate teatrale veronese, ove “Barra – dice il Professor Pasquale Sabbatino nella Laudatio Academica – ricompone la rifrazione dei personaggi ed estremizza il gioco dei doppi”.
Un’atmosfera lieve, ove ognuno sapeva di essere Maestro ed allievo. E dove, paradossalmente, sembravano attenuarsi le cariche, per sottolineare la prevalenza degli Uomini. Come ha detto, con semplicità, il Professor Arturo De Vivo, Direttore del Dipartimento federiciano di Studi umanistici che ha proposto l’onorificenza, “in fondo per ricambiare il dono che Peppe Barra fa continuamente, in generosità e cultura ai nostri studenti. Barra rappresenta l’attrazione singolare perché il Dipartimento si fa cultura. Nuova eppure antica, inattesa. Che, usando una parola accademica, si fa interdisciplinare. Sottolineando “l’identità mediterranea dell’artista che, ben radicata saldamente nella storia e nelle antiche tradizioni popolari del nostro territorio, da tempo ormai occupa la scena nazionale ed internazionale, prima che il biblico diluvio di una modernità fraintesa spazzerà via tutto” (Sabbatino). “Una voce polifonica ma persino una drammaturgia della voce”, quella di Barra.
E tutti sappiamo quanto possa ricoprire, con elegante efficacia, ruoli maschili e femminili, ripercorrendo, appunto, anche quella Commedia dell’Arte europea ove, un tempo, alle donne non era consentito recitare. Ma, insieme, Barra, ha sempre fatto propria la lotta per abolire differenze sociali e soprusi. Attento, attraverso ricerca e recitazione, all’occorrenza ironica, dolente, succube, vittoriosa, ad evidenziare la negatività del potere maschile, sino “all’entrata di Cenerentola nel Palazzo – ancora Sabbatino -, che annuncia l’inizio del potere del popolo, dell’età della pace, della libertà”.
Dunque, coinvolto nel progetto “Scrittori per la legalità”, promosso dall’Università Federico II, straordinaria è la “Lectio magistralis” di Barra, raccontata, recitata, in musica. Scenografia? Marmi e tele d’autore! Chiedendo, come atto di umiltà e di condivisione, la “complicità del pubblico”, Barra va subito al nocciolo, “non avrei potuto maneggiare il tessuto culturale se non avessi avuto un percorso del/nel mondo popolare. E se indosso questa toga è perché Roberto De Simone mi ha preso per mano da piccolo nei misteri della nostra lingua. Purtroppo i giovani non la parlano più (lei può, Maestro Barra, gliela trasmetta, ndr.) o, al massimo, male, deformata. La Federico II fa molto perché questo avvenga sempre meno. Certo i neomelodici… ma la storpiano, (faccia mia sotto i neomelodici – efficace siparietto di un attimo, ndr.). I miei Maestri? Mia Madre, Roberto, Fellini. Venne a Roma per 15 giorni di seguito a vedere la nostra “Gatta Cenerentola”, solo gli attori e i costumi, per immaginare, ogni volta, una scenografia diversa. Che non c’era! Ma anche tutti coloro che, ovunque, hanno scavato e scavano sempre, senza smettere mai di voler imparare”. Tre momenti ‘magistrali’ da Apuleio, ‘Amore e Psiche’. (Che sensuale altezza!). Da Basile e il suo Pentamerone. “L’orrida bellezza, dice, ove, in una Rai anni ‘90, senza soldi, mi sono offerto di fare cinquanta parti; sino al Decamerone di Boccaccio, ove il problema era il confronto con Pasolini, altro Maestro”.
Arrivano i suoi musicisti, Luca Urciuolo, Gianni Lacagnina, Paolo Del Vecchio ed ecco risuonare, acustica da grande opera lirica, “Vurria addeventare sorecillo”, “Lu vasillo”, la “Serenata di Pulecenella”, “Le vecchie Vergini”, ove si danno voce Cimarosa, Vinci, Sarmientos, Barra-Esposito-Cannavacciuolo. Con una sua riflessione conclusiva, “Ogni persona che soffre vorrebbe essere diversa, nel mondo popolare”. Grazie, Maestro. Forse non soltanto nel mondo popolare, anche se da esso occorre imparare. Sempre.
Grazie, Maestro, per aver ricordato, con una dolce carezza, quella sera del chiaro di luna di undici anni fa.