Ai reporter di Fanpage riserva il complimento di “camorristi”; il cronista di Repubblica, che osava domandargli della candidatura del figlio Piero, lo gela con uno sguardo torvo: “La sua è provocazione”; al giornalista del Tgr Campania, presunto reo di censurare notizie sulla Regione, affibbia lo sprezzante appellativo di “zerbinotto vestito da operetta”. Sì, Vincenzo De Luca ha un rapporto complicato con la stampa. E non è certo il solo. Le relazioni tra potere e media sono ai minimi storici, con grave danno alla qualità della democrazia.
Il quesito è: un pubblico amministratore ha la facoltà di rispondere alle domande della stampa, oppure ha proprio il dovere di farlo? La differenza è abissale. Ma se il comune cittadino non ha obblighi di rispondere ai giornalisti, vale l’esatto contrario per chi ha cariche pubbliche, ufficio che nessun medico ha prescritto all’interessato. A meno di non ritenere il mandato istituzionale un sacrificio, un nobile gesto di generosità, o perfino una missione divina, come pure ogni tanto si sente. Se in una democrazia la trasparenza è essenziale, e nel gioco di pesi e contrappesi la stampa libera dovrebbe avere un ruolo centrale, quale altra libertà avrebbe “il quarto potere”, se non quella di porre domande? E se al diritto conclamato di domandare non corrisponde un correlativo dovere di rispondere, significa smentire ogni elementare teoria del diritto.
Il pubblico amministratore non ha la mera facoltà di rispondere, non ha potere di scegliere in base agli umori, le simpatie, le convenienze, a chi dare risposte e a chi no. Deve rispondere e basta. Pena l’accusa di autoritarismo e antidemocraticità, da rammentare al momento del voto, per la sanzione del corpo elettorale. Perché i media, come spiega l’etimologia, sono un mezzo e non un fine, e quelle risposte vanno date ai cittadini che si vorrebbe rappresentati da chi amministra. Ricordiamocelo, e ricordiamolo ai politici arroganti di ogni colore e posizione.