Qualcuno si domanda ancora del perché nelle urne del 4 marzo ci sia stato un terremoto, a queste latitudini. Indovinate un po’: in Italia cala il tasso di disoccupazione, in Campania cresce. I numeri spiegano il ribaltone più di tante analisi. Come certificano i dati Istat sul mercato del lavoro italiano del 2017, si registra un aumento del 3,9% tra i senza lavoro nella città di Napoli, il caso più eclatante, e dello 0,6% su base regionale. Soltanto il Molise fa peggio, con l’1,8%. In un anno, i disoccupati napoletani sono passati dal 26,6 al 30,5%, ossia 24 mila in più. Ad oggi, sono ufficialmente in 113 mila a cercare un impiego: erano solo 34mila nel 2017. Cosa è successo?
La grande falce della crisi ha sfigurato il volto della capitale del meridione. E la quota di disoccupati campani sale sia tra gli uomini sia tra le donne. Un quadro in netta controtendenza con il paese: il tasso decresce dello 8,0% al nord, del 3,7% a centro e di uno 0,5% nel resto del Mezzogiorno. Ce ne sarebbe abbastanza per un rivoluzione. Ma la jacquerie, per ora, è arrivata in cabina elettorale. La forbice della diseguaglianza si allarga e la politica, in compenso, continua a tacere. Ma tutto sommato è meglio: per tutto l’anno scorso ha intonato il mantra della ripresa. Un inno suonato come uno sfottò, per chi la schiarita non la vedeva nemmeno col binocolo.
“L’Italia con segno più” e fuori dalla crisi, da slogan si è trasformato in boomerang. Perché la tenue risalita era agganciata al treno dell’eurozona, pompato dal programma non convenzionale di acquisto di titoli di stato dalle banche, per immettere nuovo denaro nell’economia europea. Il Quantitative easing della Bce di Mario Draghi, insomma. E l’Italia l’ha acchiappata da fanalino di coda, per giunta. Ma anzitutto, il dato positivo era frutto della media tra le due Italie: una crescita reale al centro nord, inesistente al sud. E il riscontro di quest’asimmetria lo hanno fornito le elezioni. Ma forse, per molti seduti nelle poltrone che contano, la sveglia deve ancora trillare.