È scivoloso il crinale tra il diritto a divertirsi e quello al riposo. Questo confine labile a Napoli è saltato, trasformando in una guerra la coabitazione tra chi vive la notte e chi abita nelle zone della movida. In un’escalation micidiale, negli ultimi giorni si sono registrati getti di acqua e uova dei residenti inferociti per gli schiamazzi in via Aniello Falcone al Vomero.
La stessa strada dove un imprenditore, membro del comitato per la quiete pubblica, è stato selvaggiamente aggredito nell’androne del suo palazzo. Nell’area dei “baretti di Chiaia”, le annose tensioni sono sfociate nel lancio di un vaso di terracotta contro i frequentatori dei locali, sfiorando conseguenze drammatiche. Da Bagnoli al centro storico, passando per i quartieri collinari, è bollente la frontiera tra inquilini e mondo del by night.
Sotto accusa la movida fracassona coi suoi decibel fuorilegge e le distese di carta e bottiglie lasciate in strada. E nell’angolo rischia di finire il sindaco Luigi de Magistris, che per anni ha tentato una mediazione forse impossibile, nella città allergica alle regole. Un compromesso che salvaguardi l’economia dei locali notturni, il tempo libero dei giovani e il sonno di chi deve alzarsi presto la mattina. Un’utopia, insomma. Eppure, per quanto chimerico, l’obiettivo andava perseguito.
Napoli è città dai ritmi latini ed è una capitale europea: non può rinunciare alla movida, fondamentale asset turistico presente in ogni grande spazio urbano. E più di altri luoghi necessita di riappropriarsi della notte e contaminarla con le energie migliori, per evitare di lasciarla in preda ai suoi lati più inquietanti. Ma quando un fenomeno diventa fuori controllo, bisogna ripristinare una soglia di convivenza civile.
“Davanti a episodi gravi – ha dichiarato de Magistris a Repubblica – saremo costretti a chiudere gli esercizi commerciali a un certo orario, anche se sono provvedimenti che non amo perché rappresentano una sconfitta per tutti”. Magari abbiamo già perso e non ce ne siamo accorti.