Se Parigi val bene una messa – come disse Enrico di Navarra, ugonotto convertito al cattolicesimo per salire sul trono di Francia – Napoli val bene un’ampolla: come affermano tutti i politici della più varia estrazione, pur di accattivarsi il popolo devoto a San Gennaro. L’ultimo è stato Luigi Di Maio, aspirante premier dei 5 Stelle, debuttante alla Festa del patrono.
E subito pronto al bacio alla teca del sangue liquefatto. Cosa avranno detto i 39mila iscritti al blog di Beppe Grillo che, 4 anni fa, votarono per abolire il concordato tra lo Stato e la Chiesa e relativi privilegi ecclesiastici? D’altronde, il sindaco di Torino, Chiara Appendino, subì attacchi dal mondo cattolico per la sua prima manovra, che toglieva i contributi alle scuole private.
E la futura prima cittadina di Roma, Virginia Raggi, in campagna elettorale tuonava: “Il Vaticano paghi l’Imu”. Certo, il M5S è un contenitore post ideologico, dove c’è dentro tutto e il suo contrario. Ma lascia perplessi l’estasi mistica di Di Maio, di fronte al prodigio del santo. Il futuro capo politico dei grillini si dichiara credente, dando forse un segnale ai moderati.
E che importa se appena 2 anni fa, ancora sul blog del comico genovese, il blogger Piero Ricca si chiedeva polemico “a chi va l’otto per mille?”. L’operazione San Gennaro è un rito a cui si piega rassegnato ogni leader o sedicente tale. Una prassi inevitabile, una genuflessione oltre il magistero della Chiesa. Per l’Istat solo un italiano su 4 va a messa, e la quota di osservanti è in netto calo.
Ma i napoletani restano aggrappati al mito gennariano. È tradizione e pure un po’ superstizione, è religione popolare ed identità culturale. Ecco allora i baci alle ampolle, senza tentennare, dell’ex comunista Antonio Bassolino; della cattolica Rosa Russo Iervolino; e del “rivoluzionario” Luigi de Magistris, che pure duellò con il cardinale Crescenzio Sepe, quando gli balenò l’idea di un quartiere a luci rosse. Farsi amico San Gennaro conviene sempre.