Che città è quella dove 200mila libri vanno al macero? È Napoli, con l’incredibile fine dei testi lasciati dall’editore Tullio Pironti in un deposito della II Municipalità, per distribuirli gratuitamente in un evento di piazza. Un happening che non ha mai visto la luce perché, a oltre due anni dal deposito, Pironti ha scoperto che i libri erano stati mandati al macero.
Una decisione del presidente della municipalità Francesco Chirico («Abbiamo avvisato più volte l’editore che quegli spazi ci servivano, e che doveva provvedere allo sgombero, ma non ci ha dato retta, così abbiamo preso accordi direttamente con l’Asia»). Uno schiaffo alla cultura, insomma. Ma si sa: la politica vive di consensi, ed è attenta a non compiere gesti impopolari. E in una regione maglia nera per la lettura, quanti piangeranno per l’autodafé dei libri?
L’Istat ci ricorda che, nel 2015, in Campania è del 71% la quota di persone, dai 6 anni in su, che non hanno letto nemmeno un libro nel tempo libero in 12 mesi. Certo, qualche sognatore si aspetta che la politica provi a modificare la realtà. Possibilmente per migliorarla, perché esempi peggiorativi non mancano. Ma si tratta, appunto, di sogni: qui si deve badare al sodo, tra una giaculatoria sui tagli alla cultura e uno scaricabarile.
E poco importa se nel Trentino, prima regione per qualità della vita, la percentuale di non lettori scende al 41%: qualcosa significherà, per misurare “il pil della felicità”. Eppure, i libri di Pironti non sarebbero costati nulla, eccettuato il costo negativo dell’occupazione degli spazi municipali. Ma tant’è: Napoli ha visto scomparire, negli ultimi anni, decine di librerie, tra cui le storiche Guida Merliani e Port’Alba, Loffredo e la San Paolo degli ex dehoniani.
E torna alla mente l’anatema dell’avvocato Gerardo Marotta, nelle periodiche battaglie per salvare l’immenso patrimonio librario del suo Istituto italiano per gli Studi Filosofici: “Le biblioteche napoletane sono votate alla distruzione”. Aveva ragione.