Napoli, in passato, è stata una città quasi inespugnabile, circondata non solo da molte colline, ma anche da fiumi e torrenti, che ne circondavano le mura perimetrali.
Il Ponte della Maddalena, oggi quasi completamente scomparso, può ancora dirci molto su com’era Napoli quando era ancora denominata “Neapolis” e sulle sue future identità.
Essendo zona paludosa, fin dai tempi degli antichi romani, si dovette operare bonificando gran parte del territorio. Dove questi era più difficile da attraversare, crearono per l’appunto dei ponti. Il più grande tra questi era conosciuto come “pons paludis”. Lo stesso che poi i normanni utilizzeranno per giungere in città, guidati da Roberto il Guiscardo. Da quel momento in poi, il ponte sarebbe stato noto come “ponte Guizzardo”. È molto probabile che quello stesso ponte, con gli anni sensibilmente modificato, sarebbe poi servito da fondamenta per il ponte della Maddalena.
Da pons paludis a Ponte della Maddalena
Di questi si ha una viva e reale testimonianza a partire dal 1556, in quanto voluto dal Viceré di Napoli Ferdinando Alvares de Toledo. Si costruì per ovviare alla distruzione di un precedente ponte (forse proprio il “pons paludis”) e prese il nome di ponte della Maddalena. In onore di un convento con lo stesso nome, oggi scomparso. Grande e imponente, per la costruzione il Vicerè tassò tutte le provincie del Sud. Si ergeva a sud del borgo di San Giovanni a Teduccio e a nord delle mura della città.
Il ponte però conoscerà una storia destinata a tingersi di rosso per molti secoli. All’epoca della sua edificazione, lì si eseguirono molte impiccagioni e decapitazioni. L’antico fiume Sebeto, che scorreva tranquillo alla base del ponte, accoglierà così molti di quei corpi dimenticati e senza possibilità di una degna sepoltura.
Ancora oggi perdura una statua di San Gennaro con la mano tesa verso il Vesuvio, collocata proprio sul ponte della Maddalena. Costruita in concomitanza di una devastante eruzione del Vesuvio, datata 1631. L’eruzione fu talmente impetuosa, e la lava talmente inarrestabile da arrivare fino a San Giorgio a Cremano, che il popolo si riunì in una preghiera disperata rivolta a San Gennaro. La lava fermò poi la sua avanzata, e la situazione tornò sotto controllo. Si racconta che, in preghiera, i napoletani e il cardinale del Duomo di Napoli trasportarono la testa del santo e l’ampolla contenente il santo sangue proprio fino al ponte della Maddalena. Appena giunti, videro la lava fermarsi, e la città finalmente in salvo.
Le vicende del ponte della Maddalena sono anche indissolubilmente legate a quelle della rivoluzione del 1799. Con la caduta del trono di Ferdinando IV, il ponte si vide attraversare dalle truppe francesi del generale Championnet. Meno di un anno dopo un altro esercito si ritroverà a pesare sul ponte della Maddalena: ecco avanzare l’esercito della Santa Fede guidate dal Cardinale Ruffo, accese dal desiderio di riconquistare la città. È proprio sul ponte che l’esercito vincerà la sua marcia, in una sanguinosa ed estenuante battaglia. Col ritorno di Ferdinando IV sul trono, questi utilizzò il ponte e la zona circostante per le esecuzioni capitali.
Il ponte dimenticato
A poco sono valsi gli sforzi di Carlo III di Borbone, che iniziò un’importante operazione di restauro nel 1747. È con l’Unità d’Italia, come si può immaginare, che il suo uso perse importanza, in quanto le mura di Napoli furono abbattute. Il Ponte verrà poi ribassato alla fine XIX secolo, per permettere ai moderni tram di attraversarlo.
Ciò che resta del ponte è stato soggetto di un lavoro di restauro solo in epoca recente, che ha reso visibile gli archi sotto cui secoli prima passava il fiume Sebeto. Eppure, come abbiamo appena dimostrato, sul ponte della Maddalena sono state scritte molte delle pagine della storia della nostra città.