Hermann Hesse scriveva : “Non dobbiamo leggere per dimenticare noi stessi e la nostra vita quotidiana, ma al contrario, per impossessarci nuovamente della nostra vita”.
Dai banchi di scuola alle sale d’attesa, ai viaggi, ai resoconti così incredibilmente scanditi da narratori comuni, autori lontano un miglio e così magicamente vicini, i libri mettono a frutto, dati alla mano, la consapevolezza e la creatività individuali.
E proprio dai banchi di scuola è opportuno iniziare, per dare un senso al ritmo costante delle parole, innumerevoli peraltro, che spiegano, contengono, agiscono. E’ quello che il SeLF – Secondigliano libro festival – si è proposto di fare coinvolgendo proprio i piu’ piccoli delle scuole medie del quartiere Secondigliano (cinque di secondo grado; una di primo grado), affrontando in tre step, l’approccio a tre testi letterari di autori partenopei.
I ragazzi, dopo aver letto a casa, poi in aula, e commentato insieme i tre libri (“Cuore di Napoli” di Marcello d’Orta per la Rogiosi editore; “I sogni sono desideri – dei bambini di Scampia” di Paolo Chiariello per la Bone edizioni e “Benvenuti in casa Esposito” di Pino Imperatore per Giunti editore), parteciperanno alla manifestazione finale il 29 Maggio alle ore 16 (patrocinata dal Comune di Napoli e dalla VII Municipalità), con il “Premio letterario Sgarrupato” sulla scia della citazione “La mia casa è tutta sgarrupata” del libro “Io speriamo che me la cavo” di Marcello d’Orta (scomparso prematuramente a Napoli nel 2013), in memoria del quale il premio è indetto, riconoscendo il primo posto al libro che hanno particolarmente gradito.
Tutti ricordano, anche i più giovani che sulla scia di qualche genitore maturo conservano la memoria delle espressioni, il film tratto dal libro, compendio di testimonianze uniche, vere e ingenue, che ebbe come protagonista Paolo Villaggio. Dopo l’esperienza fatta in una scuola elementare nella città di Arzano (provincia napoletana), il maestro mise insieme i temi degli alunni.
Nonostante la presenza per alcuni fuorviante, dei dialettismi, a proposito dei quali d’Orta disse : “Io, modesto maestro elementare, dissento da glottologi, filologi e professori universitari. Il dialetto nasce dentro, è lingua dell’intimità, dell’habitat, “coscienza terrosa” di un popolo, sta all’individuo parlante come la radice all’albero; nasce nella zolla, si nutre nell’humus, si fonde nella pianta stessa. E’, insomma, l’anima di un popolo”.
L’esperienza editoriale del d’Orta sembra oltrepassare un indescrivibile confine, e questo grazie alla sensibilità attraverso cui l’autore è riuscito ad affrontare l’insegnamento e a quella dei ragazzi, abitanti di un degrado che resero noto con minuzia di particolari : “Mia madre dice che il terzo mondo non tiene neanche la casa sgarrupata, e perciò non ci dobbiamo lagnare: il terzo mondo è molto più terzo di noi!”
Come un certo professor Bellavista declamava, per voler citare un’altra celebre penna partenopea, Luciano De Crescenzo per l’appunto, si è sempre al nord di qualcuno.
Quel che possiamo aggiungere noi, invece, è che – e la testimonianza dei libri in gara e di d’Orta (nonostante avesse poi abbandonato solo concretamente la professione di insegnante, per dedicarsi all’attività di scrittore) ne sono un esempio – la cultura può in termini pratici avvicinarci a dimensioni mai esplorate o a realtà salienti della nostra quotidianità. Ecco che, parlare del territorio o coinvolgerlo nelle persone degli abitanti, e in particolar modo dei giovani, avendo dalla propria le parole e la possibilità di coniugarle ad un progetto, diventa una grossa opportunità.