Piazze vuote, solitarie, nel buio della notte o sotto un cielo grigio di nubi. Scale fatte di pietre antiche, sagome di antiche mura, che raccontano storie di luoghi. E ancora fabbriche dismesse, e terrazzi deserti, dove si va per stendere i panni ad asciugare, e da cui si può osservare tutta la città. Luoghi abbandonati, dove non c’è più vita, o dove la vita sembra essersi fermata, per una notte, per una settimana, o un mese, o chissà…
Sono posti come questi i protagonisti di “Quel che resta”, serie di diciotto fotografie di Sergio Riccio, noto in Europa per il suo interesse per le commistioni tra fotografia e linguaggio. L’artista infatti attraverso i suoi scatti cerca di trasmettere concetti filosofici, convinto che l’arte della fotografia possa esprimerli quanto le altre arti, forse in maniera ancora più chiara. Le foto sono state esposte presso lo studio del fotografo a Napoli, in via Salvator Rosa 287, dal 19 novembre al 15 dicembre scorsi, e sono ora disponibili in un catalogo intitolato appunto “Quel che resta”, corredato da uno scritto introduttivo di Marina Miraglia, storica della fotografia recentemente scomparsa.
Con questi scatti l’autore cerca di comunicare al suo pubblico le sensazioni che prova dinanzi a luoghi svuotati di vita e di movimento, nei quali sente urgente appunto questa domanda: “Cosa resta?”. Così scrive nella sua introduzione al catalogo: per lui quel che resta è “un’emozione confusa ma intensa di tempi non più attuali, di odori, di suoni lievi, un interesse a capire e a progettare una convivenza possibile”.
La fotografia è storia e memoria, e racchiude sempre un’emozione, una vibrazione. E una foto di artista in particolare esprime la sua maniera peculiare di vedere, rappresentare, ricreare potremmo dire, un mondo. Un insieme di foto in bianco e nero, dove non vi sono colori, e sembra non esserci vita, ma in realtà la vita possibile è negli squarci luminosi, nel cielo che incombe, nel ciuffo d’erba dietro un muro nero, negli alberi, nel muschio tra le pietre antiche.
Scrive ancora Sergio Riccio: “La foto ti ricorderà quegli spazi e quei silenzi alludendovi con mano leggera e saggia, ma sarà anche un’immagine nuova che vive di vita propria, è tua, è la tua, ma è anche universale, parla, o dovrebbe parlare, a chiunque”.