Riflessioni e riverberi intorno al Salone del Libro 2019

Sempre più bello ed eccitante, un anno dopo, Il Salone del libro, seconda edizione.

Un grande evento dall’intrinseco valore e contenuto di comunicazione, dal forte impatto emozionale e visivo, che ha trasferito la propria immagine anche sul luogo che lo ha ospitato, illuminandolo. Un percorso scandito da un’enorme complessità di fattori, dal numero di interlocutori da soddisfare, sempre più ampio, ad esempio, alle relazioni sviluppate, dalle nuove e articolate competenze messe in atto per intraprenderlo e svolgerlo in maniera perfetta, agli ostacoli insormontabili ma superati in modo brillante da parte dei sagaci organizzatori.

Il Salone del Libro II edizione, ha saputo guardare alla nostra città come espressione e generatore di nuovi ed emergenti desideri di cultura, portandosi al di là di tante rappresentazioni oleografiche della nostra metropoli fondate su consunte nostalgie e improbabili armonie perdute. E’ invece andato oltre la retorica della cronaca offrendo una stimmung radicata nelle ragioni dell’ attualità, impegnata a diventare in nucleo divulgatore di cultura e civiltà.

Al Salone del Libro si è potuto vedere altrimenti. Attraverso panorami custoditi da promesse prive di patina e, al tempo stesso, in linea con grana dei tempi, senza vincoli e strettoie. Fra le splendide sale giallo tufo affollate di idee, ci siamo interrogati sul nostro io. Un io che di solito oggi si sospende barbaramente a favore di una identità spesso indefinita nella moltiplicazione, nella condivisione tout court, nell’assenso apatico, ma che risiede nella relazione di chi ascolta, di chi è attento a ciò che ci circonda con attitudine aperta, in bilico tra fare e non fare, tra esistere e scomparire. Superate le contrapposizioni generazionali, finita la storia come sequenza ordinata e ineluttabile, oggi è possibile recuperare il frequentando la lettura; un pensiero che corre indistintamente tra diverse generazioni, per individuare quella consapevolezza morale e quella capacità figurale che caratterizzano in profondità l’identità culturale di chi è libero dalle contingenze, dalle costrizioni ideologiche, dalle derive del mercato, dalle scelte di campo, dai campanilismi e dai provincialismi, a favore di un sistema di qualità e di pratiche quotidiane fondate su umiltà, semplicità, intensità, esperienza, condivisione; a favore di una filosofia dell’attualità distante dalle spettacolarizzazioni di vuoti simulacri, lontana da mitologie abusate, volgari banalizzazioni e icone consolidate.

L’importante kermesse di Castel Sant’Elmo ha ritagliato i sintagmi e i simboli delle nostre permanenze, tra riconoscimento e trasmutazione, e, isolando alcuni dati, ha toccato la cultura nella sua flagranza, in un gioco di somiglianze e di differenze, immagini e allegorie, sentimenti e emozioni, ridefinendo, con azione creativa, il nostro teatro interno di sembianze e simboli.

In quest’ottica, la naturale conseguenza è che il Salone quest’anno è stato definitivamente affrancato da una certa visione popolarmente effimera ed è stato riconosciuto come evento strategico, contemporaneo, dinamico e vibrante.                                

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