Il prestigioso Premio Napoli c’è costituisce un’attraente occasione di svago, ma anche di apprendimento: l’evento, oltre a porre in risalto realtà e personaggi esimi del panorama partenopeo, con il suo “palcoscenico itinerante”, mutevole di anno in anno, accompagna i propri ospiti di “salotto” in “salotto”, accendendo i riflettori delle più celebri e influenti location cittadine.
Nel decennale della sua fondazione, il Premio ha selezionato – non senza qualche difficoltà determinata dalla vasta scelta di “nobili palchi” – il magnificente Teatro di San Carlo.
In virtù dei suoi velluti purpurei, gli eleganti marmi, i bassorilievi e gli stucchi preziosi, il teatro più antico d’Europa è la cornice perfetta per l’atteso evento, che coniuga festosa mondanità e cultura, con particolare accento su eccellenze e primati partenopei; siano essi storici o contemporanei.
Edificato nel 1737, per volontà del Re Carlo III di Borbone, quale espressione del vigoroso potere regio, il Teatro di San Carlo fu il primo Teatro d’Opera non solo d’Europa, ma del mondo intero.
Otto mesi di lavori, e una spesa di 75 mila ducati, resero possibile la realizzazione del progetto di Giovanni Antonio Medrano, architetto e Colonnello Brigadiere spagnolo di stanza a Napoli, e di Angelo Carasale, già direttore del San Bartolomeo; i quali ebbero l’ardire d’immaginare – e costruire – una struttura imponente, opulenta, innovativa.
28,6 metri di lunghezza, per 22,5 di larghezza, caratterizzavano la sala, gremita di 1379 posti a sedere, suddivisi tra 184 palchi – compresi quelli di proscenio – disposti in sei ordini, più quello reale, in grado di ospitare comodamente addirittura dieci persone.
Inaugurato il 4 novembre, in occasione dell’onomastico del sovrano, il teatro accolse la rappresentazione de L’Achille in Sciro, con testi di Pietro Metastasio, musica di Domenico Sarro e scene di Pietro Righini; furono inoltre organizzati due balli per intermezzo, creati per l’evento da Gaetano Grossatesta. Secondo usanza dell’epoca, Achille fu interpretato da una donna, Vittoria Tesi, detta “la Moretta”, accompagnata dalla prima donna soprano, Anna Peruzzi, conosciuta come “la Parrucchierina” e dal tenore Angelo Amorevoli.
Da quella data, sei decenni di storia sconvolsero gli assetti politici e sociali, culminando con la rivoluzione del 1799, che vide il palco militante del Lirico – ribattezzato Teatro Nazionale di San Carlo –, cornice di inni patriottici e di “libertà”, degno intermezzo di rappresentazioni “rivoluzionarie” quali il Nicaboro in Yucatan di Giacomo Tritto: opera in due atti volta a solennizzare l’espulsione del tiranno.
Alla “ristrutturazione d’intenti”, che nel ’99 coinvolse ideologicamente il teatro, nella prima metà dell’Ottocento seguirono vari interventi strutturali e formali, ad opera dell’architetto e scenografo Antonio Niccolini, che modificarono l’edificio fino a conferirgli la fisionomia odierna.
Il caposcuola del Neoclassicismo intervenne innanzitutto sulla facciata dell’edificio, ma fu costretto a dirigere ben altri lavori quando, nella notte del 13 febbraio 1816, un incendio devastò la costruzione del Massimo napoletano.
Rimasti intatti solo i muri perimetrali e il corpo aggiunto, la ricostruzione procedette fedelmente alla versione della sala del 1812, con il suo impianto a ferro di cavallo, sebbene il boccascena, invariato nella configurazione, fu allargato e ornato nella superficie interna dal bassorilievo raffigurante Il Tempo e le Ore, ancor oggi esistente.
Fu così che, a meno di un anno di distanza dall’incendio che lo aveva devastato, il Teatro di San Carlo rinacque dalle proprie ceneri, più fulgido di prima, venendo inaugurato, il 12 gennaio 1817, per la seconda volta. A tal proposito scrisse lo scrittore Stendhal: “Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare… Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un difetto. Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: ha ricostruito il San Carlo!”.
Altri interventi si susseguirono nel corso degli anni: alcuni più lievi, come il restauro del 1844, che vide “l’Architetto decoratore de’ Reali Teatri” Niccolini, impegnato nella collaborazione con il figlio Fausto e con Francesco Maria dei Giudice; altri più consistenti, quali la realizzazione della facciata laterale dell’edificio, avvenuta tra il 1838 e il 1842, su progetto di Francesco Gavaudan e Pietro Gesuè, che abbatté l’ultimo baluardo della costruzione originaria, o la realizzazione del foyer, ricavato nella zona orientale del giardino di Palazzo Reale nel 1937, su disegno di Michele Platania, che distrutto da un bombardamento nel 1943, fu ricostruito nell’immediato dopoguerra, riacquisendo tutto lo splendore che ancora oggi possiamo ammirare.