Una risposta ai diari di quarantena scanditi dall’emergenza Covid-19. È Soglie, il progetto fotografico della giovane e talentuosa Martina Esposito. Classe ’91, dopo una laurea in Ingegneria Informatica, si iscrive all’Accademia di Belle Arti e scopre il suo mezzo per comunicare e interpretare il mondo, la fotografia. Seguono traguardi prestigiosi, tra cui il premio Tiziano Campolmi in occasione di Setup Contemporary Art Fair 2018, e la prima personale nel marzo 2018 allestita al Castel dell’Ovo.

Con Soglie Martina ha assecondato il suo istinto di guardare fuori – e dentro – attraverso l’obiettivo. “Le pareti della mia casa cominciavano a farsi strette e pesanti, come mai le avevo sentite prima. Ho trasformato le mura che ci rinchiudono nel mondo che c’è fuori, quel mondo a cui vogliamo tornare. Ho trasformato le stanze, i corridoi, in camere oscure. Dal foro stenopeico la luce proietta sulle pareti la vita che c’è fuori, che non si è fermata”, spiega la fotografa.

Quello che Soglie racconta è infatti molto di più della necessità di mantenere un contatto col mondo esterno. L’evasione che fa da spinta al progetto è totale: riguarda lo spazio domestico, le abitudini che consideriamo scontate e invece non lo sono, la condizione della generazione senza futuro per eccellenza, i millennials. Il titolo scelto ha molti significati: la soglia percettiva, la soglia come inizio, come confine tra due mondi, la soglia di sopportazione.

Il progetto conferma, ancora una volta, che la creatività non ha limiti e molto spesso rappresenta la risposta ai momenti più complessi: “Ho trasformato le stanze in camere oscure. Ho oscurato porte e finestre e ho praticato un foro stenopeico nell’ impalcatura creata per coprire la finestra, la fisica ha fatto il resto. La scoperta della camera oscura è antica, e meravigliosa. Ho usato poi uno specchio ellittico per creare dei riflessi”. Il risultato sono nove foto che raccontano quella ‘stanza senza più pareti’ che in questi due lunghi mesi è diventato il nostro microcosmo. Il portfolio interpreta i confini che abbiamo costruito dentro di noi e a quelli oggettivi che ci limitano dall’esterno. Soglie parla di ciò che inizia e ciò che finisce, ciò che separa e che, inaspettatamente, riunisce.

Sul futuro Martina non ha alcun dubbio, il suo destino è la fotografia. “Non ho mai tenuto ad un’idea tanto come a Soglie: credo che la forza di questo progetto sia stato il lockdown stesso, è paradossale ma è cosi. Tanti amici, anche non fotoamatori, si sono emozionati con queste foto, quindi non potrei essere più soddisfatta. Spero se ne possa fare una mostra, o un catalogo, o magari un’istallazione. Quel che è certo è che dopo la pandemia vorrei continuare il lavoro sui nomadi rom, ma sicuramente dovrò reinventarmi ancora”.
