Nel Convento di San Domenico Maggiore, che sta diventando sempre di più uno dei centri nevralgici della vita culturale partenopea, teatro di numerosi spettacoli ed eventi, venerdì 23 settembre, alle ore 20, andrà in scena “Sospiri e martíri”, dramma musicale che racconta la tragica storia di Carlo Gesualdo da Venosa e della moglie Maria D’Avalos, che a fine Cinquecento destò molto scalpore nella città di Napoli.
Atto unico che vede la regia di Salvatore Mazza, che ha adattato per la rappresentazione il testo di Magda De Notariis e Maria Teresa Iacomino (che è anche in scena nei panni della protagonista), lo spettacolo è organizzato dall’associazione “Il contrapasso”, che si occupa di eventi culturali, teatro, danza e rievocazioni storiche, ed è stato rappresentato per la prima volta il 21 luglio scorso a Salerno, nella suggestiva cornice del Castello di Arechi.
Sulla scena un dramma della gelosia, che racconta di una società maschilista dove agli uomini, soprattutto se nobili e potenti, tutto veniva consentito, mentre le donne non erano libere di esprimere la propria femminilità e i propri sentimenti, e dovevano accettare un’esistenza di sottomissione, prima ai padri e poi ai mariti, quasi sempre scelti dai familiari per motivi economici o di opportunità politica.
Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590, nel cuore di Napoli, nel palazzo dei di Sangro, si consumò un duplice delitto: il principe Carlo Gesualdo da Venosa, noto madrigalista, fece uccidere da alcuni servitori la moglie Maria d’Avalos e il suo amante, Fabrizio Carafa duca d’Andria, colti in flagrante adulterio. Maria, già due volte vedova a ventisei anni, nel 1586 aveva sposato Gesualdo, suo cugino, per volontà delle rispettive famiglie; a una festa aveva successivamente conosciuto Fabrizio Carafa, anch’egli sposato, e tra i due era nato l’amore.
Maritati entrambi, i giovani erano costretti a vivere il loro sentimento in segreto, ma Maria non riusciva a nascondere la sua felicità, e così destò i sospetti del marito che, pressato dai familiari, decise di vendicarsi per il disonore che lo aveva colpito. Una sera finse di partire per una battuta di caccia, in modo che la moglie, credendosi libera, potesse invitare a casa l’amante; così fu, e rientrando in anticipo il principe colse sul fatto i due giovani, sorprendendoli nella stanza di lei.
Tutto era stato preparato nei minimi particolari: Gesualdo entrò in camera accompagnato dai servitori armati di tutto punto, e i due amanti inermi, prima Fabrizio, poi Maria, furono uccisi. I loro corpi, denudati, furono lasciati in fondo alle scale del palazzo, come segno di un’offesa lavata nel sangue. All’epoca il delitto d’onore era giustificato dalle consuetudini imperanti e perfino dalla legge, tanto che la Gran Corte della Vicaria aprì un processo che fu però archiviato il giorno dopo l’apertura: Carlo rimase impunito, ma per timore di una vendetta dei familiari dei due giovani uccisi lasciò Napoli e si ritirò nel suo feudo di Gesualdo.
Nella trasposizione teatrale la storia dei due amanti sfortunati viene rappresentata secondo i canoni della tragedia greca, nella quale un destino ineluttabile, che non può essere cambiato in alcun modo e dinanzi al quale loro sono impotenti, dirige le vite degli uomini. A introdurre e commentare azioni e pensieri dei personaggi, tre donne, che, riproducendo in parte la funzione del Coro nella tragedia classica, rappresentano l’Amore, il Dubbio e la Gelosia.
Musiche e danze rinascimentali e contemporanee accompagnano la rappresentazione, riproducendo l’atmosfera dell’epoca e nello stesso tempo richiamando il presente, nel quale purtroppo la prevaricazione del maschio e la violenza sulla donna non sono affatto scomparse, e dove non mancano neppure l’ipocrisia e il perbenismo che spinsero Carlo verso un delitto orribile, che forse senza le pressioni della famiglia e della società non avrebbe mai ordinato. Lo spettacolo rientra nel programma di “Estate a Napoli 2016 – allo Zenit- Napoletani per Costituzione”.