Surrealismo e classicismo: da Salvador Dalì alla Basilica della Pietrasanta e viceversa

Basilica della Pietrasanta
Basilica della Pietrasanta

L’evento è quello che mercoledì 13 aprile 2022 a Napoli apre le porte dell’inconscio individuale grazie all’inaugurazione della mostra Spellbound – Scenografia di un sogno nella Basilica della Pietrasanta.

Ripercorrendo i temi principali cui il surrealismo ha dato voce nel tempo, e nei vari linguaggi, grazie anche a quell’interazione tra le arti che ricorre così frequentemente come modalità elettiva e prioritaria di questa avanguardia, l’amore, il sogno quasi in uno con la follia, la liberazione, viene naturale soffermarsi sul fatto che una mostra del genere, come prima internazionale, abbia trovato la sua ubicazione più congeniale proprio nella essenziale classicità della Basilica della Pietrasanta, una mostra che per quanto preannunciato e dal work in progress che abbiamo toccato con sguardo già rapito, consente di indagare nell’intimo, per poi narrarlo, il rapporto tra dimensione onirica e inconscio, tra vita vissuta nel reale e vita che continua nel livello subconscio, tra livello di fuori e quello di dentro.

Come nella reazione degli artisti del surrealismo, e delle altre voci rappresentative nel tempo storico che ne vide la vita, tra cui il grande Salvador Dalì appunto, rispetto forse non all’eccesso di razionalità – come per quel periodo – ma per la mancanza di lungimiranza generale, anche oggi c’è bisogno di liberare le potenzialità dell’inconscio per arrivare a processi di conoscenza che vadano oltre.

Abbiamo scritto in precedenza di come la Pietrasanta sia culla di esperienze continue di livelli culturali ampi e diversificati, metatemporali e sempre scientifici, esperienze che implicano livelli immersivi sensoriali che portano poi a flussi emersivi che richiamano dalle reazioni avvenute a livello inconscio contenuti rielaborati e arricchiti per poi far emergere in piena consapevole coscienza pensieri liberi da determinazioni preordinate, cioè determinazioni in piena libertà di pensiero.

La progettualità culturale integrata, ormai ben nota, di Raffaele Iovine, si ritrova nella straordinaria opportunità di una mostra che mette in risalto sia l’interazione tra il linguaggio artistico e quello cinematografico, perseguito nella genesi della produzione ab origine, sia l’integrazione delle scelte museali rispetto a quanto in corso d’opera con l ‘Acropoli dei Saperi, scelta condivisa nella quale crediamo e che realizziamo con passione.

Anche in tal senso, con una sapiente fusione di varie forme di intenti di promozione dei Saperi, si concretizza la comunità di “eredità culturale” che la Convenzione di Faro del 2005, Convenzione quadro del Consiglio d’ Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, volta a tutelare i diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto, mette in luce, in particolare all’ art 2, c. b: “una comunità di eredità è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”.

Rispetto al contributo dell’artista catalano per la pellicola di Alfred Hitchcock,  ci soffermiamo su un passaggio poi non inserito nella versione compiuta del film: nelle sequenze mai proposte nel film compiuto era prevista la scena in cui Ingrid Bergman si trasformava in una statua della dea Diana, una coincidenza da considerare data l’edificazione, avutasi nel tempo, della Basilica proprio sulla base del tempio di Diana, come scritto nei nostri precedenti articoli; e questo sincronismo dell’elemento mitologico ci fa riflettere e ci conduce quasi per mano alla classicità dell’artista catalano, genio ma soprattutto personificazione della avanguardia stessa.

Rispetto a “Io ti salverò”, titolo della versione in italiano, non abbiamo fruito del passaggio in cui Ingrid Bergman diveniva Diana, divinità legata all’onirico – ricordiamo le figure femminili delle djanare deputate alle ritualità dedicate alla dea – nel senso di espressione talvolta inquietante e surreale di tensioni interiori.

Da quanto si legge, la pellicola originale non è infatti più disponibile, in quei lunghi minuti il sogno si poneva come una visione. E in effetti, Hitchcock scelse Dalì proprio per stupire lo spettatore, Spellbound significa letteralmente ‘incantato’, per rappresentare il mondo dei sogni in modo diverso con visioni percepite come reali ma con una rarefazione relegata nel soggettivo che dà ampio spazio al dubbio che, a sua volta, poi sfocia in certezza per trovare giustificazione stessa dei propri pensieri.

E veniamo a un passaggio che abbiamo colto nella nostra visita in anteprima: una mostra che si pensa nella classicità, intrisa di processi mitopoietici, di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta non può non richiamare alla memoria la fascinazione ‘quasi onirica’ ci vien da dire, che Dalì ha vissuto rispetto al Rinascimento italiano in particolare grazie a Michelangelo e a Cellini. Il genio surrealista, frutto di un grande lavoro su se stesso e sulla propria arte, preferì nel periodo della sua maturità, sia di vita sia d’arte, un ritorno all’ordine classico reinterpretato.

Riportiamo le parole di Elie Faure, nel Catalogo del 1925: “Un grande pittore ha diritto di recuperare la tradizione soltanto dopo aver attraversato la rivoluzione, che poi è la ricerca della propria realtà”. E dunque la mostra che prende il via il 13 aprile, fruibile fino a settembre 2022, sotto la direzione artistica di Roberto Pantè e a cura di Beniamino Levi, Presidente della Fondazione Dali, si anima di una vita che è contaminazione affascinante tra quegli occhi immensi e senza tempo della scenografia del film e la bellezza classica nella quale si perdono, bellezza, anch’essa onirica perché suggestiva delle voci di dentro,  di chi si addentra in essa, delle radici greco – romane della Basilica della Pietrasanta, e nella spazialità creata dalle volte a calotta e dalle cupole.

E la dimensione dello spazio è l’altra categoria surreale che avvicina la mostra Spellbound alla Basilica, uno spazio che ne ingloba tanti altri attraverso le movenze sospese degli uomini e delle donne che hanno vissuto civiltà diverse, proprio come nella scena onirica poi non inserita dei pianoforti sospesi, interpretando la magia sia dell’artista sia dei luoghi della Pietrasanta!

Ampia voce dunque a quelle mostre che possono avvalersi di un rapporto “incantato”, ossia da spellbound, tra quanto esposto e il luogo che le ospita!

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