Nella mia vita da medico non avrei mai pensato di essere obbligato a non poter più visitare i miei pazienti da vicino per oltre due mesi, come è avvenuto durante il lockdown dall’8 marzo al 14 maggio 2020 per la terribile pandemia determinata dall’imperversare in tutto il mondo del virus SARS-Cov-2. Due mesi terribili, in cui è successo di tutto, e durante i quali tanti anziani – con tutta la loro esperienza e cultura – sono deceduti in rianimazione senza che nessuno dei familiari abbia potuto accarezzarli e abbracciarli prima che chiudessero gli occhi.
Come fare con i miei pazienti? Mi sono dovuto limitare ad assisterli telefonicamente, in collaborazione con i rispettivi medici di famiglia: in questo modo ho seguito molti pazienti con varie complicazioni polmonari, in isolamento familiare, attraverso informazioni quotidiane su temperatura, tosse, dolore toracico, l’anosmia e la saturimetria. Quando le condizioni respiratorie si aggravavano, ho consigliato il ricovero, prevalentemente al Cotugno, giustamente definito ospedale ‘modello’, conoscendo personalmente diversi colleghi medici con cui era possibile interagire.
Poi, pian piano, le cose sono andate un po’ migliorando, soprattutto da quando varie autopsie sui tanti deceduti hanno consentito di constatare che c’era una componente importante che prima era sfuggita: la ‘tromboembolia polmonare’. Si è visto, inoltre, che il virus aggrediva soprattutto le cellule endoteliali dei vasi, quelle che rivestono all’interno il sistema sanguigno, determinando blocchi al circolo ematico, ed allora con l’uso di eparina a basso peso molecolare (clexane) in associazione a plaquenil e azitromicina, che già venivano usati, si sono ottenuti risultati migliori.
A partire da fine aprile si è avuta una chiara, progressiva riduzione dei ricoveri, soprattutto di quelli gravi, da rianimazione, e tutti i posti giustamente creati con tanti apparecchi di ventilazione, sono diventati vuoti. È stata la corretta terapia a rendere il virus meno aggressivo o il caldo iniziato già a fine aprile con temperature superiori a 20 °C di massima? In realtà, in questa occasione di Covid-19, ho visto ripetersi quello che avevamo già osservato nel 2009 con l’epidemia di febbre suina indotta dal virus H1N1 che poi era lo stesso che aveva indotto l’asiatica quando eravamo bambini. Ebbene, anche allora il reparto di pneumologia che dirigevo all’Ospedale ‘Cardarelli’, strapieno di malati con polmoniti da gennaio ad aprile, a maggio ha iniziato a svuotarsi.
Il dilagare delle fake news e l’importanza di una formazione reale
In parallelo con la cura dei pazienti in telemedicina ho cercato di dare messaggi medici informativi corretti attraverso la pagina Facebook Respiro Italia. Purtroppo, insieme con gli sforzi dei medici di essere utili e di curare al meglio i pazienti, è cresciuta la ‘voglia’ di taluni medici, non sempre virologi preparati, anzi molto spesso approssimativi, di mettersi in mostra soprattutto sui social diffondendo consigli non sempre corretti.
Umberto Eco aveva detto bene che i social danno voce ad un sacco di ignoranti, diventando la modalità di diffusione di molte fake news. Abbiamo così potuto vedere, con i tanti proclami di questi pseudo-esperti, che l’antiscienza si stava sviluppando, diventando una scusa di chi non viene accettato dal ‘sistema’ perché non ha i requisiti per starci (mancanza di esperienza clinica e di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, oppure perché ha capito che è preferibile tentare di vendere certezze invece di impegnarsi con gli studi, le verifiche tra pari, le pubblicazioni, e così via. Il problema è che evidentemente non basta aver studiato medicina, data la pletora di ciarlatani che si fregia di questo titolo inserendo nel proprio curriculum titoli ‘pezzottati’, acquistati nelle fabbriche USA di basso profilo. Quello che conta veramente è che esistono per fortuna anche le anime illuminate, capaci di confrontarsi comunque e sempre, disposte alla discussione serena e costruttiva, anche e soprattutto quando sono di parere diverso. È dal confronto e dal dibattito corretto tra persone preparate che nascono le migliori opinioni.
Plasma o vaccino? Il dibattito
Una questione molto dibattuta riguarda la diatriba tra sieri e vaccini, fomentata ad arte dai no vax, che sostengono che il vaccino non serva, ‘tanto abbiamo il plasma’.
Ebbene, il plasma è una risorsa non infinita, perché la sua produzione dipende dai donatori. Quindi da una parte se il donatore non è in buona salute – e dopo aver avuto il Covid-19, può essere che non si senta al top della forma – non può essere effettuata; dall’altra, bisogna considerare che il donatore deve rimanere attaccato alla macchina per circa 40-45 min per produrre circa 600 cc di plasma (tre sacche) e se ha sintomi o se la vena non tiene, la procedura va interrotta. Insomma, il donatore dev’essere idoneo, sia per stile di vita sia per storia clinica, ma la cosa più importante è che un donatore dona perché VUOLE: se i donatori si stancano, il plasma non c’è. Ecco perché questa è una soluzione per tamponare l’emergenza, in attesa di terapie farmacologiche e del vaccino (presumibilmente a fine anno, dal momento che sono in fase avanzata le sperimentazioni e già diversi volontari si sono sottoposti alle iniezioni di vari vaccini, tra cui anche quello nato dalla collaborazione Italia-UK).
Ma i sostenitori del ‘tanto abbiamo il plasma’ hanno una vaga idea di quante sacche di plasma servono per curare un malato? Pensano che ne basti qualche millilitro? Hanno idea di quanto costi un vaccino e quanto costi una cura col plasma? Pensano che il plasma sia gratis solo perché lo prelevano dal sangue delle persone? Che non servano medici, strumenti, tecnologie, macchinari per poter condurre quel tipo di cura?
E poi cosa c’entra il plasma coi vaccini? Il plasma è una cura, il vaccino è una prevenzione; quindi, una non esclude l’altra: è come dire che la cintura di sicurezza è un complotto perché in realtà esistono già gli ospedali che ti curano se fai un incidente. La cura col plasma inoltre non assicura immunità, perché gli anticorpi scompaiono dopo alcuni giorni che si è guariti, rendendo il paziente nuovamente esposto al contagio. Il vaccino, invece, lo stiamo studiando proprio perché ci garantisca una immunità più duratura e ci eviti di prendere il Covid-19, così da debellare l’epidemia. Il plasma ha senso usarlo per curare chi è già malato, ma se non troviamo un modo per immunizzarci – come il vaccino – dovremmo continuare a prelevare plasma alla gente per sempre, perché le persone continueranno ad ammalarsi.
La depressione come effetto della quarantena
La quarantena, per le persone attualmente affette da Covid-19 è associata a sintomi da stress post traumatico e ansia. Di certo, le persone che erano affette da disturbi mentali prima della crisi rischiano un peggioramento delle proprie condizioni.
Le crisi sono quasi sempre accompagnate da un aumento di depressione, ansia, stress e altri disturbi mentali, ma anche da comportamenti dannosi e autolesionisti, anche per le conseguenze delle misure adottate per il contenimento del virus: isolamento, distanza sociale, sovvertimento delle abitudini quotidiane e del ritmo lavorativo possono essere destabilizzanti. L’interruzione momentanea o la perdita del lavoro sono fattori di rischio per ansia, depressione e autolesionismo e la quarantena può portare a irritabilità e insonnia, aggravati dal bombardamento mediatico con sovrabbondanza di informazioni false, inaccurate, contraddittorie.