Dal settore accademico alla psicologia, dall’antropologia all’internazionalizzazione, ascoltiamo l’esperienza di una professionista: Milly Tucci
Abbiamo preso un caffè con Milly Tucci, esperta di export, comunicazione digitale e analisi dati.
Milly, sei esperta di export, comunicazione digitale e analisi dati. Come sei arrivata a occuparti di queste attività?
Buongiorno Rose, e grazie dell’invito. Sono un’analista e insegno marketing digitale in Unisob, ateneo prestigioso nel panorama di tutto il mezzogiorno, ma nelle lezioni mescolo intelligenza emotiva, comunicazione, psicologia, ricerca sociale, antropologia, filosofia, statistica, informatica e internazionalizzazione. Benché queste attività sembrino separate, sono connesse da un filo rosso, una nuova scienza olistica. Già da adolescente mi approcciavo allo studio con la curiosità dell’esploratrice, la passione per i libri e la ricerca nelle biblioteche.
In questi ultimi 20 anni di carriera ho lavorato con i dati per realizzare studi statistici, servizi informatici, ma anche supportare modelli matematici e studi avanzati filosofici. Quando scelsi l’argomento di tesi “L’analisi dei dati interni aziendali” nel 2002 l’oggetto di tesi universitaria divenne il mio lavoro. E, se già giovanissima navigavo nelle banche dati e software statistici ed elaboravo dati, con il passare del tempo questa expertise si è tramutata in opportunità di lavoro prima come user di dati poi come maker. Allora il termine big data non si usava ancora… si parlava di cubi di dati, di data surfer.
La digitalizzazione oggi ha potenziato la scienza dei dati, la data visualization: è nato il data journalism e i dati aperti hanno potenziato le informazioni. Nel mio lavoro come docente e consulente aziendale questo mi ha consentito di accelerare tutto: dopo la laurea, il master, le esperienze internazionali e il famoso posto fisso da manager ho avuto la possibilità 10 anni fa di mettermi in proprio: grande rischio ma anche grande libertà, e creando InGreen ho ripreso in mano la mia vita e accompagnato i miei genitori negli ultimi anni della loro più da vicino.
Sei founder di InGreen, di cosa si tratta?
Oggi InGreen è una piccola pmi con 10 anni sul mercato che educa e sensibilizza sull’ambiente, che comunica in modo Green anche attraverso i potenti mezzi della comunicazione digitale. Un nuovo paradigma, la “transmedialità” che richiede uno studio integrato di varie discipline e l’uso interattivo e intermodale di vecchi e nuovi media.
Le aziende italiane su questo fronte hanno bisogno crescente di esperti e di credibili interlocutori soprattutto all’estero. Durante la pandemia tutto è cambiato e, grazie al programma di scambio culturale sponsorizzato dal Dipartimento di Stato USA che ho frequentato nel 2019 in Usa Ivlp (International Visitor Leadership Program), ho reagito allo choc pandemico con una idea nuova: la pandemia ha chiamato l’umanità a riflettere sulla tempestività dei dati, ad accelerare e semplificare il dialogo inter-istituzionale, aumentare gli strumenti di monitoraggio, di prevenzione e affinare la qualità capillarità e tempestività delle informazioni.
La pandemia ha costretto al Potenziamento delle competenze digitali e io ho messo a disposizione degli italiani le relazioni internazionali costruite prima del Covid. Ricordo che grazie a una collaborazione in America siamo riusciti a presidiare la fiera della Moda di Chicago nonostante il travel ban, a esserci senza esserci.
Digital growthhacking media monitoring sono sempre più necessari post crisi per aprire nuovi mercati in Italia e all’estero. In questo senso, una buona export strategy deve partire dai dati. Un buon export manager necessita di una preliminare analisi di contesto del paese obiettivo e un uso corretto di dati e informazioni prima di avanzare come diceva Sun Tzu.
Oggi in Italia siamo testimonial di grandi progetti di sostenibilità come Circular South, il festival dell’acqua e ho moderato e diretto le relazioni internazionali per festival come Ambientarti a Bari, il programma europeo Circlein e la più recente iniziativa per i giovani studenti italiani di dock, mentre all’estero guardiamo soprattutto ai mercati più richiesti: UAE, USA, Nord Europa.
“Soft Revolution” è il tuo piccolo manuale per maker e studenti. Raccontaci di più.
“Soft Revolution” è stato il mio primo libro scritto nel 2015 da autrice dopo una lunga serie di contributi ai libri di altri e di progetti corali come “I have a dream” di Baricco. Oggi rileggendolo trovo molte ingenuità ma anche 10 previsioni avverrate…
Forse possiamo definirlo un libro “attivo”: chi lo legge cambia per sempre. La cosa più originale è certamente la descrizione della Classe dirigente del futuro che dovrebbe avere creatività, coraggio, resilienza, interesse, trasparenza, cultura, giovinezza e apertura ai giovani, etica, visioni di bellezza e umanità.
Di recente hai presentato uno studio all’associazione donne giornaliste per vincere il gap di genere nel mondo del lavoro. Quali sono oggi le sfide a riguardo e come si possono vincere?
Le donne vivono molti sacrifici e sono maggiormente esposte a rischio povertà, esclusione sociale e depressione. Quel che manca in Italia è un monitoraggio delle fasi vitali e un sistema di welfare che accompagni le donne nelle evoluzioni familiari e professionali. In quanto salvo per maternità e invalidità totale non esistono oggi ammortizzatori sociali di quelle fasi intermedie della vita privata che impattano su condizione economica psicologica e salute, come i lutti, divorzi, part time, aborti, cambio di residenza, malattie e care giving parentale a tutela della donna italiana.
Ho presentato questo studio desk https://www.slideshare.net/FilomenaTucci2/female-data-gap all’asssociazione Giulia e rete nazionale di contrasto odio e violenza ma si muove ancora poco troppo poco. Grazie alla professione che svolgo posso mettere in rilievo le priorità eispirare buone politiche guidate da umanità e buon senso dando voce a quelle donne che voce non hanno.
Parliamo del premio dock3
Sarò la madrina del premio. Dock3 – the startup lab è il programma di pre-accelerazione che seleziona gli studenti, i ricercatori e i lavoratori più competenti e determinati, e li supporta nel comporre un team multidisciplinare, definire e perfezionare un’idea, verificarne il potenziale sul mercato e presentarla di fronte a centinaia di persone e decine di investitori. Negli ultimi 4 anni, dock3 ha seguito circa 500 giovani innovatori, che hanno dato vita a 30 startup, capitalizzate con oltre 1 milione di investimenti, e in cui lavorano oltre 90 persone.
Per partecipare non è necessario avere una propria idea imprenditoriale, è sufficiente caricare il proprio CV e la propria lettera motivazionale su www.dock3.it. Sono felice di promuovere l’iniziativa a Napoli perché amo questa città e ricordo a tutti gli studenti che tra poco apre il bando che eroga premi molto significativi a idee di impresa. Il percorso si rivolge a studenti universitari e di ITS, ricercatori e laureati di qualsiasi ateneo italiano, per l’accrescimento delle capacità imprenditoriali e verso la validazione di nuovi prodotti/servizi.