“Compito in classe” è un volume che si compone di cinque racconti preceduti da cinque pensierini. Cinque teneri apripista prima del disincanto dell’età adulta. Pensierini di bambina intorno a un microcosmo pregno delle cose e degli affetti più elementari: il cibo, il papà, la mamma, la famiglia. Concetti minimali, espressi con tenerezza e semplicità dall’autrice Giovanna Castellano, che mutuano divenendo racconti di donna alle prese con una vita che non ha certo fatto sconti. E così, l’ingenua letterina dedicata al papà si trasforma in una più accorata lettera, in un bisogno impellente di raccontare parte di una vita spesa a cercare negli uomini gli stessi occhi azzurri del padre, lo stesso amorevole sguardo. Così come quella dedicata alla mamma lascia poi spazio alla malinconia del racconto “Un soffio tra i capelli”, breve testo dove confluiscono le forti emozioni di una prova di dialogo costruito per allentare il dramma di un distacco inevitabile. Lo sgretolamento dei punti cardini e la presa di coscienza del fallimento della famiglia come istituzione precostituita formano l’impianto narrativo dell’ultimo racconto, “Benvenuta in famiglia”. Un’analisi amara ma lucida sulla fine di quel nucleo ancestrale che per secoli ha fatto da collante al nucleo stesso e che registra, nell’idea dell’autrice, una crisi irreversibile con conseguente affrancamento dai ruoli consolidati. Consapevolezza e disillusione non impediscono però all’umorismo di farsi largo tra le righe, attraverso una cifra stilistica ironica e sarcastica. Soprattutto nel racconto “L’eroismo”, dove il lettore tira il fiato con una storia di ordinaria follia, un’odissea dove a venire incontro ai protagonisti è proprio “l’Odissea”, intesa come opera letteraria, che presta i suoi eroi autentici per farne altri occasionali. Specchio deformato di una città, quale Napoli, paradossale e feroce nella sua quotidiana realtà.
Giovanna Castellano ha al suo attivo altri brevi ma significativi testi, come “Caro Dio”, coraggioso e irriverente dialogo attraverso il quale si rivolge direttamente a Dio informandolo della piega che hanno preso le sue parole mediate da chi ha ritenuto di rappresentarlo in terra. Ma è soprattutto viaggio di ricerca della fede, qualunque essa sia, per ritrovare una propria verità. E poi ci sono le poesie, che la Castellano ha raccolto in due volumi: “50 momenti” e “Pensieri in volo”. E c’è naturalmente “Un soffio tra i capelli”, già contenuto nel libro presentato, dal cui racconto la giornalista Angela Matassa ha tratto l’omonimo testo teatrale che ha vinto il Premio Miseno. All’autrice abbiamo rivolto alcune domande dando vita, e non poteva essere diversamente, a una piacevole chiacchierata.
Cosa si prova a richiudere la “cassetta” dei ricordi dopo avere tirato fuori oggetti dal passato. Si ha voglia di trattenerne qualcuno?
Per la verità la “cassetta” non si chiude mai definitivamente. Credo che i ricordi ci accompagnino sempre, magari a seconda dei momenti che viviamo vengono ridisegnati e adattati. E poi i ricordi hanno una grande caratteristica: esaltano i momenti belli e riescono a lenire il dolore dei momenti brutti. Sì, credo proprio che, indipendentemente dal nostro desiderio, ogni oggetto del passato ci accompagni, magari portato in borsa, tenuto in tasca o, semplicemente, nella mente.
Cinque racconti, cinque ripescaggi nella memoria: quanto costa fare i conti con il disincanto dell’età adulta?
Nel mio caso molto! Costa molto perché la donna che sono oggi deve fare i conti con un’infanzia molto felice; un’infanzia dolcissima, una fase della mia vita in cui mi sono sentita sempre amata, coccolata, desiderata, addirittura importante direi. E quando si parte da questi presupposti, l’età adulta con le regole ferree della vita, regole non scritte, incomprensibili, ma pure rigidamente presenti e pronte a modellarti l’esistenza, inevitabilmente ti delude. Anche se la mia è una vita “normale”, fortunatamente senza sofferenze devastanti, è comunque un disincanto nel confronto con le aspettative.
Oggi sarebbe possibile per una bambina scrivere quei pensierini?
Se si trattasse di una bambina abituata a vivere in un contesto come quello in cui ho vissuto io, credo di sì. Almeno nella sostanza, perché nella forma sarebbero ovviamente diversi: si parlerebbe di PC, di cellulari, di videogames, ma i sentimenti espressi sarebbero gli stessi.
Come ti sono venuti in mente i personaggi di Peppino e Teresa?
Questo è un racconto che ho scritto divertendomi e, a quanto mi dicono i lettori, facendo divertire. Peppino e Teresa sono nati guardandomi intorno, osservando come si vive a Napoli, quanto sia necessario, a volte, essere degli eroi per sopravvivere nella nostra realtà.
L’ultimo racconto descrive un contesto quasi surreale. Qual è la chiave di lettura o quantomeno il messaggio che vorresti arrivasse?
Be’, è quasi surreale perché, in fondo, tutto ciò che si pensa, poi, in realtà può accadere. Il messaggio che vorrei arrivasse è per me molto importante: la famiglia-istituzione non esiste più! Tentare a tutti i costi di mantenerla in piedi è, a mio avviso, un’ostinazione dannosa. Il concetto di famiglia è ormai multiforme: coppie di fatto, unioni gay, divorzio, adozioni da parte di single, sono una giusta risposta alle istanze che sono caratteristiche del nostro tempo, e non può esserci legge laica o regola religiosa che possa fermare l’evoluzione. Senza viverlo come un dramma (perché di fatto non lo è) ho preso atto che stiamo vivendo un cambiamento epocale.
Sappiamo che hai messo poca tecnica nel libro. Come ti sei regolata, quindi, quando si è trattato di dare una struttura e uno stile ai racconti?
Semplicemente li ho scritti come nascevano spontaneamente dentro di me. E devo dire che sono molto soddisfatta del risultato.
Cosa succederà adesso che sei stata ufficialmente consacrata scrittrice?
Probabilmente niente di particolare. Io sapevo già di essere una scrittrice, ora lo sa qualcuno in più.