Una lezione di speranza reale

toni servillo da guida
toni servillo da guida

Ne abbiamo viste in questi giorni. Processioni. Prendersi per mano anche senza conoscersi.
Amore, emozione, silenzi e mantra musicali. Poche o nulle le polemiche. Dopo? Forse. Ora no.

E sabato 17 gennaio, una sorta di corteo si può dire che, formando un triangolo, cominciava già da piazza Amedeo, Riviera di Chiaia, Piazza dei Martiri. Tutti verso via Bisignano, allo Spazio Guida Editori, ove ognuno sta comprendendo che non si tratta di una libreria ma di uno “Spazio”, appunto, per mettersi, tutti, in discussione, dare e apprendere. Passare di qui, in via Bisignano, e fermarsi. Oltre le vetrine rutilanti della zona Chiaia, dei caffè di lusso, incontrarsi. Per esserci. E, poi, abiti, caffè, cinema, megastore di libri – al di là della cultura di sempre di alcune Gallerie di grande lignaggio, tipo “Il Blu di Prussia” -, potranno persino acquistare un volto nuovo.

Animato. Da anima.

Mentre, intanto, Diego Guida, dalla grande Storia che “sente” di carta stampata e guarda al futuro, pubblica libri. Con oculatezza e attenzione alla città. Il 20 dicembre il suo invito per l’inaugurazione recitava “La città che vorrei”. Non incontri sporadici, non soltanto esterofilia in senso lato, ma guardare, prima di tutto, tra le straordinarie grate delle antiche, nobili architetture di casa nostra.

Ed ecco che, pronuba l’Associazione “Perché vivo a Napoli, dialoghi per chi resta”, nata nel 2013, “per stimolare una strategia di sviluppo che ponga al centro la cultura”, che, presieduta da Emilia Leonetti, da Guida editori ha incarnato, con una presenza particolare, l’interessante filo conduttore dell’Associazione.

toni servillo da guida

Allo Spazio Guida, forse trecento persone, Tv a circuito chiuso nei vari ambienti, Toni Servillo, 56
anni, nato ad Afragola, residente a Caserta, da poco “Cittadino onorario di Napoli”. Ma in effetti
già lo era, napoletano, se a volte, la vox populi gli grida “Site l’orgoglio ‘e Napule, nun fa niente che nun site ‘e Napule”. E Servillo, “cafone d’’a pruvincia” (e “dove li mettiamo i problemi di Afragola e di Caserta?”) che, dice, “pur grato per la cittadinanza, avrei fatto tutto anche senza averla. Ho sempre vissuto con l’ambizione della conquista di Napoli, la capitale, forse influenzato dai romanzi francesi. Mah! Ora va di moda il “fare sistema”. Io direi avere una Compagnia (“Teatri Uniti”, ndr.), un nutrimento. In ogni caso mi sento ancora in debito verso Napoli, un attore lo è sempre verso una città che ha uno spleen assente altrove, pur vivendo e restituendo la sua stratificazione. Le scelte? Affronto un repertorio a 360° – oltre a tutti i napoletani di oggi, da Ruccello a Sovente, ecco che dopo decine di anni, qui, Marivaux, Molière – e , con me, ragazzi di Acerra, di Caivano, di Afragola, di Roma (Andrea Renzi, ndr). Insieme. Non ho vinto io l’Oscar ma Sorrentino, anche se ogni personaggio vive di malinconica ironia napoletana. Certo – fiume in piena, sembra che il suo “debito” non gli consenta di tacere – se lavoro su Viviani, il silenzio, il popolo offeso, con Eduardo metto in circolazione l’autentica vocazione europea di questa città. Che mi rende facile passare dal Piccolo di Milano al Bellini di Napoli. Anche se da Milano io “devo” venire a provare a Napoli. O, meglio, a S.Maria Capua Vetere, Teatro Garibaldi”.

Il pubblico preme, le domande sono continue. “Cosa dobbiamo fare? Siamo vagabondi – natura dell’attore – e, così, possiamo muoverci in ogni direzione. Al Barbican di Londra, tanti gli italiani di ogni età, non frustrati, ma realizzati, con amici inglesi. E, se napoletani, obbligatorio parlare la nostra lingua, occasione di anticinismo. E se Eduardo è stato recitato, tradotto, da Sir Anderson o Sir Olivier, noi in napoletano, non su un ‘antiquariato culturale’ ma conoscendone l’autore.
Il nostro è il risultato di una scelta a monte, fare i conti con questa lingua e questa patria perché tutti ne conoscevano già la potenza espressiva”.

Mentre Renzi acutamente aggiunge che, oggi, “mondo globalizzato, chi resta, chi parte, che importa? La residenza è relativa. Dobbiamo avere, invece, con le parole di Francesco Rosi,”il dovere della speranza e non accollarci la responsabilità del cinismo, il cui antidoto è la passione”.

francesco Rosi

Certo il teatro “ci mette la faccia”, riprende Servillo, quasi a sottolineare lo stupore incauto (dunque non sempre positivo?, ndr) di una signora milanese che, dopo uno spettacolo disse, “siete talmente bravi che mi fate… pena”.

Mentre teatro come antidoto all’ignavia. Per Rosi l’ossessione continua era la morte come cancellazione di ogni opportunità. A teatro noi, il pubblico condividiamo: cosa? La sicurezza che succeda qualcosa. Mentre in quanti altri luoghi della comunicazione c’è soltanto un’attesa? Eduardo ha lo sguardo sull’uomo, con una “recitazione peripatetica”, come diceva Domenico Rea.

Servillo o dell’orgoglio smisurato di essere napoletano, non veteroborbonico. Come potrebbe dire De Pretore Vincenzo, in italiano, “U dolore e ‘a fatica de campà”?. Guai se perdiamo la lingua e se usiamo “gemento” al posto di “sgagliola”: il napoletano mi mette al riparo da una finta lingua. Penso, recito in napoletano, lingua scenica che contiene già un’azione; la lingua, schizoide, precede il corpo. Quante volte, invece, la lingua italiana è statica. Certo non dev’essere la lingua napoletana autoreferenziale, sennò diventa onanismo. Ed ecco l’amarezza: Maurizio De Giovanni, ricorda quanto la nostra città ha il senso profondo di cittadino ma non del “concittadino”, mentre il sindaco parla di “una città che, pur sofferente, dà amore e sa ricaricare”.

eduardo de filippo, De Pretore Vincenzo

Una proposta, modesta: se non esiste una Cattedra di Lingua napoletana in nessuna nostra università, perché non istituire dei corsi settimanali per i giovani in ogni municipalità?

Da Diego Guida la sensazione di una “rivoluzione” culturale: ognuno un’idea, ognuno non in attesa
ma attento a ciò che succederà. Protagonista senza cinismo.

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