Un’intervista impossibile a Liberato. Impossibile perché mai avvenuta! È una conversazione inventata di sana pianta. I fatti narrati sul fenomeno Liberato, sui personaggi correlati appartengono soltanto alla mia immaginazione. Si, sarà la prima intervista “fake” – adotto il lessico del periodo –, nella quale anticipo la natura fasulla del contenuto. Non si offenda nessuno, ma il testo che seguirà è di pura fantasia.
M’immagino bendato in prossimità di uno stanzino vuoto, provvisto di due accessi. Uno è quello dal quale ho fatto il mio ingresso. Non vedendo nulla, tentenno cercando una sedia. Poi, vagando a zonzo per qualche istante, la trovo. Mi siedo. Aspetto, nel silenzio buio. Scatta la serratura e la maniglia si muove. Non so bene la natura di chi arriverà o quanti sopraggiungeranno. Ma intuisco che le possibilità di trovarmi di fronte la personificazione (o le personificazioni) del fenomeno artistico aumentano proporzionalmente ad ogni vibrazione dello stipite di una porta che si sta aprendo. Resto al gioco e aspetto che qualcosa accada. Poi un colpo di tosse, arrangiato dal sintetizzatore. “Uagliò t’appost?”. Esordisce, esordiscono. È tutto così amplificato che mi risulta indistinguibile definire il numero dei presenti. Paradossalmente, l’intervista inizia con una domanda della controparte intervistata. Cerco di mostrarmi risoluto, controbattendo: “Certo, incominciamo?”. Avevo preparato una sfilza di domande ma ne serviranno poche e ben assestate.
Chi è Liberato?
Eh, proprio adesso lo vengo a dire a te. Uagliò, alla gente deve interessare la mia musica e non la mia identità. Se abito a via Posillipo o a piazza Mercato, poco importa.
Liberato è il prodotto finale di più artisti?
Questi giornalisti vogliono sempre complicare le situazioni. Soltanto la musica deve interessare: piace o non piace.
Tuttavia, non credi che l’anonimato e le numerose domande sul progetto amplifichino però la fama?
Uagliò, sei forte. È tutta una casualità di eventi. Ti assicuro che prima di ogni altra cosa è arrivato il riconoscimento musicale. Alle persone piace la musica che faccio, senza troppi sé e senza andare a studiare chissà quali strategie di marketing. A me piace la musica e alla gente piace la musica che faccio. L’anonimato mi aiuta a stare tranquillo e a concentrarmi di più, tutto qui.
Che bisogno ha un personaggio che fa una musica come la tua, di restare relegato nei confini del tuo dialetto. Non pensi che sia giunto il momento di una tua promozione ad una condizione più italiana. Hai forse paura di non riuscire ad esprimere i tuoi pensieri in italiano?
Ma che vo’ chist? Chist è pazz! Mo me vuliss ‘mparà tu a me come devo suonà e come cantà per mezzo che fai ‘o giurnalist?
(Ma che vuole questo? Questo è pazzo! Ma adesso vorresti insegnarmi come suonare e come cantare soltanto perché fai il giornalista?)
Hai capito che la mia domanda altro non era che una citazione dall’intervista tra Lello Arena e James Senese da “No grazie, il caffè mi rende nervoso” del 1982. Sei stato al gioco e nella risposta hai proseguito con la stessa identica sceneggiatura. Torniamo a noi. Credi che la tua ascesa, possa segnare l’avvento di un nuovo modo di fare musica a Napoli e nel resto d’Italia?
La storia lo dirà.
Con un enigmatico finale si conclude l’intervista fantastica. Rumorosamente, una porta si chiude. Poi, silenzio e tanti interrogativi.
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