Se tutta la vita che abbiamo vissuto avesse potuto essere diversa, come sarebbe stata? Rimuginare sul proprio passato, immaginandolo magari più prosperoso e florido se solo avessimo… è una delle attività preferite dell’essere umano. Ed è quello che fa quotidianamente, autocostringendosi a farlo, il protagonista di ‘Un’Ucronìa’, il primo e ben riuscito romanzo – o racconto breve che dir si voglia – di Sergio Mario Ottaiano, giovane e brillante autore e musicista campano. Il libro, edito da Genesi, è stato anche esposto recentemente al Salone Internazionale del Libro di Torino, tenutosi dall’8 al 12 maggio. L’Espresso Napoletano ha voluto incontrare e intervistare lo scrittore per saperne di più.
Come nasce ‘Un’Ucronìa’?
‘Un’Ucronìa’ nasce circa due anni fa, frutto di continue riflessioni sul tema del rimorso, dei ricordi e delle scelte: sono elementi che hanno sempre stuzzicato il mio interesse e che in buona parte caratterizzano il mio modo di vivere. L’idea era quella di spiegare, in maniera più esaustiva e ossessiva possibile, attraverso una storia, l’ossessione stessa che ogni uomo vive nei confronti del proprio passato e dei propri ‘se’.
Quanto di autobiografico c’è nel libro?
Di certo gli argomenti trattati nel romanzo appartengono a chiunque, e quindi anche a me; si tratta di temi che accomunano un po’ tutta la razza umana, dunque in un certo senso il libro è “anche” autobiografico. Ma la storia raccontata non ha nulla a che vedere con avvenimenti realmente accaduti o fatti vissuti in passato. L’unico elemento reale presente tra le pagine è un personaggio, ma non svelerò di chi si tratta.
Quali sono gli autori che hanno ispirato maggiormente il tuo pensiero e la tua scrittura?
Amo tantissimo Italo Svevo, il suo modo di scrivere e la figura dell’inetto di cui è attento osservatore, e il mio protagonista effettivamente è un inetto. Se dovessi citare altri “mostri sacri” della letteratura direi certamente Joyce, Moravia, Foscolo e Pirandello. Infine, credo che la mia penna sia molto influenzata anche da quella di Oscar Wilde, ma in senso opposto: cerco di essere sempre in antitesti rispetto all’autore inglese.
È paradossale che un libro basato sul ‘se’ veicoli il messaggio di non avere rimpianti. Come lo spieghi?
Il mio libro parla in sostanza non dei ‘se’, ma di quanto male possa fare perdersi nell’ossessione che inevitabilmente i ‘se’ comportano, e di quanto sia insensata tale ossessione: quindi un messaggio positivo, di speranza, è la conclusione migliore pensando al messaggio che lo scritto vuole e deve veicolare.
È stato un “parto unico” o il libro si è venuto strutturando poco a poco procedendo nella scrittura?
La costruzione generale del libro è nata tutta d’un fiato, la creazione dello stesso è durata un bel po’ di tempo, e in questo frangente il romanzo ha mutato forma un paio di volte, quindi potremmo dire che il tutto è nato in maniera ibrida: un “parto unico” ragionato e lento.
Hai recentemente esposto la tua opera prima al Salone Internazionale del Libro di Torino: a quando la seconda?
È presto per poter parlare di una seconda opera, ma qualche idea c’è e sto iniziando a lavorarci con molta calma, tentando di creare qualcosa di abbastanza distante da ‘Un’Ucronìa’. Al momento mi godo il romanzo e i pensieri di chi lo ha letto, raccolgo pareri, critiche, recensioni e ne faccio tesoro: sono giovane e il tempo per continuare su questa strada non mi manca, quindi procedo in maniera ponderata e attenta.